Teresa Maresca, la figlia del realismo americanoLa cosmologia della pittrice milanese ha il sapore degli Usa

Nel piccolo studio a Milano, Teresa Maresca costruisce, caparbia, la propria cosmologia che ha il sapore e la memoria dei paesaggi della lontana America. Soprattutto le vedute notturne - scorci desolati, rare abitazioni, e cieli minacciosi sopra pompe di benzina abbandonate - ricordano le atmosfere di Hopper e della pittura realista americana di inizio Novecento, sebbene più sfrangiate e delabré. Ma anche i lavori più recenti e non ancora esposti, parlano degli Stati Uniti: le ombre di uomini che attraversano, tra la vegetazione fitta, fiumi ancestrali rimandano a Walt Whitman che della poesia epica d'oltre oceano fu il creatore . Allo stesso modo, la serie «flowers and bones», in cui vengono rappresentati enormi teschi di bufali, riprende un tema caro a Georgia O'Keffe nel suo percorso visionario tra i deserti del Nuovo Messico, ricollegandolo però ai primordi dell'arte (o dello sciamanesimo) ancora visibili in Francia nella grotta di Chauvet, celebre esempio di pittura preistorica.
Raffinata pittrice, amante della poesia, Maresca innesta il proprio lavoro su una solida tradizione della figurazione milanese che ha il suo campione in Giovanni Frangi e un giovane epigono in Alessandro Busci il quale non disdegna il panorama suburbano e per certi versi testoriano, caro a molti di questi interpreti del territorio lombardo.

La Maresca amplia però questa geografia dell'anima: le sue visioni - come nella serie delle piscine o delle fabbriche - hanno una consistenza del tutto personale, dove le cose appaiono filtrate e la figura umana spesso è assente, o presente per sottrazione e moltiplicazione.

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