"Umorismo, coltelli e una donna: ho portato il caos nell'Impero russo"

L'autore israeliano di Tikkun: "Quel mondo era divertente"

"Umorismo, coltelli e una donna: ho portato il caos nell'Impero russo"

Tikkun è una riparazione: la correzione di una stortura. È quello che vuole fare Fanny, la protagonista di Tikkun, romanzo (molto premiato e apprezzato in Israele) di Yaniv Iczkovits, ora pubblicato in Italia da Neri Pozza (pagg. 490, euro 19).

Spiega lo scrittore israeliano: «È la storia della figlia di un macellatore rituale, Fanny Keismann, che decide di ritrovare il marito di sua sorella, Zvi Meir Speismann, il quale ha lasciato Mende da sola con due bambini. Il viaggio è molto pericoloso per una donna ebrea da sola nel selvaggio Impero russo di fine Ottocento, ma la nostra Fanny è unica. Sa il fatto suo con il coltello e, benché non sia molto socievole, in qualche modo riesce a trovarsi degli alleati strada facendo. Un po' come nel Mago di Oz». Sembra tutto semplice; ma, quando Fanny comincia a usare il coltello (e non più sui polli...), tutto prende una piega intricata, appassionante, e spesso esilarante. «Le persone non si aspettano che Fanny sia violenta. Non è categorizzabile, un po' come la maggior parte delle persone: e, quando non sai come inquadrare qualcosa, allora è lì che cominciano le complicazioni». Infatti il capo della polizia segreta Piotr Novak - seppure abilissimo - proprio non riesce a capire che cosa possa legare quegli omicidi brutali, una donna (apparentemente) innocua, un ex soldato dell'esercito russo, un cantore... «Novak non riesce a credere che una faccenda banale fra marito e moglie in un piccolo shtetl ebraico possa mettere a soqquadro l'Impero intero. Eppure accade. Cerchiamo sempre grandi spiegazioni, ma la verità è che la storia è fatta dagli esseri umani. La letteratura ci dice che tutto è personale».

Iczkovits, appassionato del XIX secolo, ha avuto l'idea del romanzo leggendo un annuncio su un vecchio giornale: «Il grido di una donna disperata, che chiedeva l'aiuto della comunità per ritrovare il marito». Annunci comuni, all'epoca. Poi ha fatto molte ricerche, soprattutto sulla vita e le esperienze dei soldati nella guerra di Crimea. Perché proprio l'Impero russo? «Nella mia famiglia - racconta - c'è sempre stato un contrasto fra le storie terribili sull'Olocausto e quello che avevano vissuto durante l'infanzia in Europa, che invece era piuttosto normale, con molti momenti felici. Credo che oggi, cercando di creare un nuovo Israele, abbiamo perso molto di quelle persone, che erano piene di umorismo, gentili, e sapevano essere più flessibili e in armonia». Soprattutto, gli uomini dell'epoca erano «molto divertenti, ridevano di tutto»; invece, dice Iczkovits, «sento che oggi abbiamo perso il nostro senso dell'umorismo. Per questo non sono intimidito dai cliché sugli ebrei: a volte sono divertentissimi, altre volte molto stupidi. Però non è che non si possa dire niente sugli ebrei, se no sei subito un antisemita. Dai, facciamo un bel respiro...».

Lo dice lui, che è diventato scrittore dopo avere servito quattro anni nell'esercito; e che è convinto che «scrivere implichi la fede».

Anche quando si scrive, letteralmente, di «merda» (nel romanzo ha un certo spazio): «C'è una preghiera ebraica, in cui ogni mattina ringrazi Dio per gli orifizi del tuo corpo: credo sia bellissimo ringraziare Dio ogni mattina, per delle cose così terra terra. È quello che mi piace dell'ebraismo: parliamo con Dio di ogni cosa, perfino questa».

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