Cultura e Spettacoli

Vent'anni (da romanzo) a casa di "Madame Céline"

La badante di Lucette, Sandra Vanbremeersch, racconta la "Signora", i suoi ospiti e la sua "corte"

Vent'anni (da romanzo) a casa di "Madame Céline"

Quando nel 2000 suonò il telefono nella casa di Sandra Vanbremeersch, giovane dottoranda francese in cerca di una occupazione di badante part-time, certo non poteva sospettare che quella telefonata l'avrebbe legata per quasi venti anni alla già ottantenne Lucette Almansor, ultima compagna di Louis-Ferdinand Céline e sopravvissuta a lui e al Novecento: una «Signora distesa», questo il titolo originale (La Dame couchée) del libro tratto da questa esperienza che la Vanbremeersch diede alle stampe nell'agosto dell'anno scorso in Francia, e ora in arrivo nelle librerie anche in Italia con il titolo meno evocativo, ma più in chiaro per il pubblico italiano, di Buongiorno, Madame Céline (Corbaccio, pagg. 178, euro 16; traduzione di Marta Morazzoni).

Scritto in forma di romanzo, il libro si concentra inizialmente su Lucette e la sua vita di prigioniera dei suoi stessi anni: «La pelle è quasi invisibile. Come possono esserci tante cose nascoste sotto una pelle così sottile? Gli occhi sono chiari, ma mi vedono? Queste biglie azzurro pallido dai contorni biancastri, né ciglia né sopracciglia, niente altro che un filamento di muco che si stende tra le due palpebre a ogni loro tentativo di aprirsi sul mondo. Vedere. Vedere attraverso queste sbarre di colla umana», e in tal senso è più un romanzo sulla vecchiaia e i suoi disastri fisici e morali che una testimonianza di un rapporto umano con «La Signora» e i suoi ospiti dove talvolta l'autrice sembra scivolare nella gelosia sociale per poi concentrarsi in un ritratto impietoso della corte gravitante attorno alla villa di Meudon.

Ma non è certo la corte di Versailles e delle Liaisons Dangereuses, con i suoi cicisbei e le sue favorite. Primo, perché non vi è sfarzo a Meudon, ma solo un giardino dalla terra sterile, fertile solo per i rovi, odore di vecchiaia e di stantio, e una Casa cannibale con al suo centro una diafana vampira centenaria; secondo perché questa congerie di badanti, infermiere, scrittori, artisti, avvocati e questuanti di una parola o di un autografo della Signora hanno addosso solo o miseria o mocassini di marca bucati, in luogo di abiti sfarzosi rutilanti di merletti e di sete.

L'autrice evoca con pseudonimi il carrozzone di strampalati personaggi frequentanti la Casa e la sua ospite-padrona, ma i céliniani di ferro come Marc Laudelout, editore del Bulletin célinien, riconoscono facilmente dietro di essi l'avvocato François Gibault, curatore degli affari di Lucette e, alla sua morte, titolare dei diritti letterari sulle opere di Céline («È affascinante, assolutamente affascinante, può incantarvi come un serpente»), ma anche Sergine Le Bannier, amica di Céline (interessata solo a «tutto quello che è volgare, senza interesse, privo di qualsiasi slancio intellettuale»), il giornalista, scrittore e biografo céliniano Frédéric Vitoux («ci portava l'afflato della scena letteraria parigina con la superbia dell'ego che, immancabilmente, lo collocava al centro di ogni argomento. Nello stesso tempo, che personaggio sapiente! Il sorriso largo, gli occhi scintillanti! Si agitava sul divano come un bambino che avesse un sacco di cose da raccontare»), Véronique Robert, amica intima di Lucette («incollata alla Signora di Meudon come se ne andasse della sua vita, più vicina di un animale domestico»), il ballerino e insegnante di danza Serge Perrault, morto nel 2014 («il gracile ballerino e l'amico di sempre, era il solo ancora in vita che, adulto, avesse conosciuto Céline. Nel suo racconto brillava l'esperienza. Filiforme e piuttosto bello anche da anziano, aveva la voce che canta e ripete sempre la stessa canzone»), l'intellettuale e polemista Marc-Édouard Nabe («ignorando bellamente l'arena nella quale è appena entrato già vincitore»), frequente visitatore di Lucette a Meudon e altri ancora.

Si procede così in una atmosfera di decadenza e disastro, tra notazioni sempre più ciniche e sarcastiche, intervallate da qualche passo di una certa delicatezza, come nelle pagine della morte di Lucette, giunta infine l'8 novembre 2019, e della sua sepoltura semiclandestina, tanto simile a quella del suo amato Louis (sempre la Vanbremeersch, in una intervista: «Lei non mi parlava mai di Céline. Céline, era lo scrittore.

Mi parlava di Louis, suo marito, di quanto l'aveva amato e come era stato difficile l'essere sposa di quell'uomo solitario e pieno di sofferenze»), più di mezzo secolo prima.

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