Un viaggio coast to coast per scoprire le note dei compositori americani

Emanuele Arciuli fornisce la chiave per leggere gli spartiti a stelle e strisce

Un viaggio coast to coast per scoprire le note dei compositori americani

Una premessa personale: considero Charles Ives (1874-1954) una delle menti più geniali della musica del Novecento (e forse non solo quella). Nato in Connecticut, di professione assicuratore (sua era la «Ives & Co.»), Ives fu un compositore davvero geniale e a lui si deve, una su tutte, l'invenzione della politonalità: la inserì, appena diciassettenne, nelle sue Variations on America per organo. Si dice che l'idea gli venne ascoltando fortuitamente due bande (il padre era direttore di una delle migliori bande militari dell'esercito) suonare, probabilmente in una festa di paese, due musiche differenti che finirono per sovrapporsi alle orecchie del giovane Charles. Questa situazione disarmonica venne, invece, tradotta da Ives in quella che sarà una delle principali conquiste della musica contemporanea (basti citare l'uso che ne faranno, ad esempio, autori quali Stravinskij o Bartok). Penso anche - per continuare a calpestare terreni troppo poco battuti - a Henry Cowell, il compositore che inventò il cluster, o Conlon Nancarrow, precursore della meccanizzazione della musica, o Morton Feldman, che seppe sposare la sperimentazione musicale con l'espressionismo astratto di Rothko. E poi, vabbè, John Cage, George Gershwin, Aaron Copland, Leonard Bernstein le cui sorti sono state fortunatamente maggiormente propizie rispetto ai nomi citati poco sopra...

Insomma, l'apporto offerto dagli Stati Uniti alla musica del Novecento è stato qualcosa di assolutamente fondamentale. Per questo, il libro di Emanuele Arciuli Viaggio in America. Musica coast to coast (Edizioni Curci, pagg.

168, euro 17), benché costituisca un viaggio sostanzialmente autobiografico dell'esperienza americana del suo autore, consente al lettore di imbattersi in tanti nomi: ed è proprio grazie agli incontri e agli aneddoti narrati da Arciuli, pianista salentino docente al Conservatorio di Bari (e, a detta di Joseph Horowitz in prefazione, il maggior conoscitore del repertorio americano), che è possibile ricomporre a ritroso parecchi tasselli della musica degli Stati Uniti d'America.

Con questo libro, se da un lato si dimostra l'eterogeneità della produzione musicale a stelle e strisce novecentesca - letteralmente coast to coast - dall'altro ne testimonia l'assolutamente onorevole tradizione.

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