Cultura e Spettacoli

Prima visione

Gran brutta moda quella dei film chilometrici. Nel 1920 il saggio Francis Scott Fitzgerald aveva scritto un racconto di cinquantanove pagine: Il curioso caso di Benjamin Button, che, tanto per capirci al volo, compie il percorso esattamente inverso del più celebre Il ritratto di Dorian Gray. Il dispersivo regista David Fincher (l’autore di Seven), con la complicità degli sceneggiatori Eric Roth e Robin Swicord, lo ha allungato a dismisura trascinandolo oltre le due ore e mezzo. Quindi tra qualche risata, molti oh di meraviglia, per la sublime fotografia, i magnifici costumi e soprattutto gli stupefacenti trucchi, c’è tempo, eccome, per diversi sbadigli. Resta comunque un eccellente film, anche se tredici nomination all’Oscar sono decisamente troppe.
Ah, già, la storia, parecchio diversa dal racconto. Tutto comincia a New Orleans, nel 1918, mentre si festeggia la fine della Prima guerra mondiale. Non lo voglio più vedere, urla inorridito l’industriale dei bottoni Thomas Button, prendendo in braccio il bebè appena partorito dalla moglie. Il fagotto, depositato sulle prime scale, è raccolto dalla giovane colf nera Queenie (Taraji P. Henson), che lo porta con sé nella casa di riposo in cui lavora. In effetti il neonato ha il viso raggrinzito, sembra un vecchio nel corpo di un bimbo. La mamma acquisita tira su il pargolo con amore, coccolandolo quando si muove solo in carrozzella (quella degli handicappati). Poi camminerà con le stampelle, quindi col bastone, infine saltellerà come un grillo. Infatti gli anni passano e il piccolo Benjamin (Brad Pitt) cresce, al contrario della sua età, in inarrestabile, e ben visibile, discesa.
Inutile star qui a rivangare la rava e la fava, anche per non togliere le molte sorprese allo spettatore, sicuramente affascinato dalle tante avventure che, lungo l’intero Novecento, conducono il protagonista a perdere la verginità in un bordello, a fare il mozzo sui un rimorchiatore, ad amare una signora molto liberale (Tilda Swinton) e a incontrare la donna della sua vita, la sfortunata danzatrice Daisy (Cate Blanchett). Anche lei devastata dal truccatore sul letto di morte: una parte fastidiosamente lunga, dove tra l’altro si coglie una parola su due di quanto la vecchina biascica. Per concludere un’avvertenza al pubblico femminile: Brad Pitt appare in tutto il suo fulgore soltanto a un’ora dalla fine.

Prima non lo riconoscerebbe nemmeno Angelina Jolie.

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