Prima visione

A ben sei mesi dal Leone d’oro, suggerito alla delusa giuria dal direttore stesso della Mostra, esce The Wrestler (Il lottatore) di Darren Aronofsky. Si sperava dunque nell'Oscar a Mickey Rourke per lanciare The Wrestler, ma l’Oscar ha rilanciato Millionaire, escluso dalla Mostra... Tristezze che non sono colpe di The Wrestler, di cui tanto s'è parlato come «rilancio di Rourke», eppure il medesimo non ha mai smesso di recitare in film di rilievo, non necessariamente belli (Sin City, per esempio). In realtà il vero rilanciato, quello che era ormai all’ultima occasione della breve carriera, era Aronofsky, dopo il fiasco di The Fountain, presentato sempre alla Mostra, ma due anni prima, e travolto dal ridicolo.
Lottavano insieme, dunque, il regista velleitario e l’ex divo. Il primo propose al secondo di lavorare gratis pur di riavere un ruolo da protagonista; il secondo accettò, perché poteva permetterselo. Ecco l’origine di The Wrestler, dove un lottatore cinquantenne trascina un’esistenza randagia, con timidi tentativi di formare una nuova coppia e recuperare il rapporto con la figlia, lesbica e drogata.
In quest’accolita di falliti - negli Stati Uniti, dove «fallito» è l’insulto peggiore - sta la ragione per la quale The Wrestler è un tipico film da festival, fino a vincerne uno, tanto più che la vicenda - a differenza di quella di Millionaire - non lascia spazio alla volontà. Qui conta solo il destino, che è poi sinonimo di carattere. Quello del nostro lottatore pare, come quello di Rourke, sufficiente per battersi talora e insufficiente per battersi sempre. Sceso dal quadrato, il Nostro rientra nel suo bozzolo di vagabondo. E così il finale è prevedibile.
I festival sono passati dal promuovere l’emancipazione degli oppressi all’apologia del disadattato.

A essere cattolici, si direbbe che, privi della grazia (come appunto sono gli umili che piacciono alle sinistre odierne), i personaggi dei film da festival non credono alla redenzione (come non ci credono le destre). In fondo questo è un cinema che dovrebbe accontentare tutti e non accontenta nessuno: senza emozioni, bravura dell’interprete e professionalità degli altri offrono uno spettacolo incompleto.

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