Cultura e Spettacoli

Prima visione

Vincere di Marco Bellocchio condensa le angosce del regista in un film che si poteva ridurre di mezz’ora, con notevole giovamento, se alle spalle di Bellocchio ci fosse stato un produttore di polso. Infatti Vincere è fardellato di brani documentari, noti da chi li capisce, molesti per gli altri. E poi, insistendo che la vicenda di Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno) è strettamente connessa con Benito Mussolini (Filippo Timi), padre di suo figlio, Benito Albino (ancora Timi), non come privato, ma come politico, Bellocchio vuol far assurgere il caso personale a caso politico.
Invece, così, Vincere induce lo spettatore meno maturo a credere che l’orrore manicomiale patito dalla Dalser sia qualcosa d’epoca e solo d’epoca, di italiano e solo di italiano, di arretrato e solo arretrato, cattolico e solo cattolico, di fascista e solo di fascista. Ma Changeling di Clint Eastwood aveva raccontato un caso analogo: ricovero in manicomio di una giovane donna trasgressiva nella democratica, protestante e ricca California del 1928, e sempre per via di un bambino, che non era nemmeno figlio del presidente americano.
Bellocchio accenna solo la personalità della Dalser, notevolissima per l’epoca, lasciando lo spettatore quasi ignaro che questa trentaquattrenne trentina del 1914 era suddita austroungarica, quindi viveva in una società più avanzata che quella del Regno d’Italia; e che aveva studiato a Parigi, maturando idee precise in cultura e in politica. Fu però una personalità insolita (lo sarebbe anche oggi) che affascinò Mussolini: anche lui, meno confortevolmente, aveva vagato per l’Europa.
A Bellocchio non interessa l’amore fra loro, ma le sue conseguenze: il bambino e l’abbandono. Ma senza sapere che «cavalla matta», ma anche donna più interessante delle altre, fosse la Dalser, non si capisce il seguito. Che pare solo una congiura dove la meschinità di Mussolini si sommò alla ragion di Stato, che sopravvenne, specie dopo il Concordato con la Santa Sede.

Comunque Vincere rompe il silenzio cinematografico su un’atroce ingiustizia; ricorda che il fascismo nacque dal socialismo alla prova della prima guerra mondiale e dimostra la tenacia di Bellocchio nell'inveire - coi suoi motivi - contro le istituzioni totali, come collegi e manicomi.

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