La saga dei Tornatore, Baarìa, entusiasmava il presidente del Consiglio come produttore e ora entusiasma il presidente della Repubblica come spettatore: coincidentia oppositorum. Il vero successo di Baarìa è essere diventato, già prima della Mostra di Venezia, l'evento "da non mancare", quando lo si potrebbe mancare serenamente.
Baarìa è il rifacimento di Nuovo cinema Paradiso: stesso regista (Tornatore III, fra i personaggi del film; al secolo Tornatore Giuseppe, alias Peppuccio), stessa ambientazione (Bagheria, stavolta ricostruita in Tunisia), stessa angolazione (il mondo visto dal basso, raccontato da uno che vola alto e crede di volare altissimo); diverso invece il produttore. Baarìa - questo il problema - non ha trovato un Cristaldi che lo sfrondasse, dunque dura due ore e mezza. Una di troppo.
Saggio sarebbe dunque entrare verso metà film, risparmiandosi così i quadretti sugli umili, oppressi dai potenti e dai loro lacché, i Tornatorini che volano o corrono per il paese, lungo una strada fasulla, fotografata in lungo e in largo, di sopra e di sotto, di dentro e di fuori, per giustificare i venticinque milioni di euro (di cui quattro pubblici) che è costato costruirla in legno.
Da metà film in poi potrete avere qualche soddisfazione, se riuscite a farvi illudere che i genitori di Peppuccio siano stati alti e belli, come lo sono Francesco Scianna e Margareth Madé che li interpretano; se riuscite a farvi illudere che lei procrei senza appesantirsi, né invecchiare; se riuscite ad accettare che siano esistiti comunisti onesti, anche se incolti, potrete avere anche qualche emozione e intuizione.
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