Up («Lassù»), scritto da Pete Docter e Bob Peterson è uno dei rari film passati sia per il Festival di Cannes, che ha inaugurato questanno, sia per la Mostra di Venezia, dove ha accompagnato il produttore John Lasseter, che, cinquantenne, riceveva un precoce Leone doro alla carriera. Questo iter parrà sospetto alla gente normale, ma la qualità di Up resta sui consueti livelli, molto alti della Pixar.
Non che tutto sia originale in Up. Ma si può copiare il bello o il brutto. E soprattutto si può essere pedissequi o innovare ciò che si copia. La seconda scelta è quella che fa andare avanti il mondo e non solo il cinema... Qui la fonte sono i film di Hayao Miyazaki, miscela di ingenuità, inventiva e insulsaggine che a qualcuno, Lasseter incluso, piace. E il tocco americano della Pixar permette di scegliere fior da fiore della fantasia del giapponese.
In Up la parte più felice per gli adulti è linizio, con la nascita di una coppia qualsiasi negli Stati Uniti degli anni Quaranta, le nozze, i figli che non vengono, la modesta professione di lui, la devozione di lei. Poi la vedovanza di lui, in una casa che la speculazione edilizia circonda di grattacieli, con la melliflua pressione perché anche quella casa sia abbandonata dal proprietario, invero senile e manesco. Ogni passaggio è reso con concisione: è il poco che trasmette tanto, dando emozioni che urla e mimica della «vitalità» latina non comunicano.
Concluso il prologo sociale per i padri e ancor più per i nonni dei piccoli spettatori, comincia la parte avventurosa, col decollo della casa sollevata - anzi strappata dalle fondamenta - da una miriade di palloncini. Poiché un vecchio malinconico e arcigno - disegnato coi tratti di un grandissimo attore come James Whitmore, recentemente scomparso - non è proprio leroe che entusiasma un bambino, nellimpresa di volare allaltro capo del mondo lo raggiunge un ragazzino dai lineamenti non proprio occidentali.
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