La storia del Sud Africa ispirava bei film - come Zulu e Le sabbie del Kalahari, entrambi di Cy Endfield - quando la decolonizzazione rendeva unisola politica questa penisola geografica che separa lOceano Atlantico dallOceano Indiano. Era con malinconia che Africa addio di Gualtiero Jacopetti mostrava sulle scogliere del Capo di Buona Speranza i pinguini, tagliati fuori dal Polo dopo lultima glaciazione, ed echeggiava la preghiera dell'esercito sudafricano: «Signore, fa che questo mare sia sempre davanti a noi e mai alle nostre spalle». Sullaltro fronte, proprio in quei giorni Nelson Mandela finiva in galera. Ne sarebbe uscito quarantanni dopo, sarebbe diventato presidente e avrebbe fatto sì che la preghiera dei suoi carcerieri non rimanesse vana. Infatti Mandela non regolò i conti coi bianchi. Chiuse col passato e aprì al futuro. Per farlo, gli occorreva un simbolo. Glielo offrì la Nazionale di rugby e fu grazie al presidente che il campionato del mondo del 1995 rese il mito sportivo dei sudafricani bianchi il mito dei sudafricani e basta. Quellinizio della riunificazione dei cuori ha ispirato il libro di John Carlin Playing the Enemy, che in Italia è diventato Ama il tuo nemico.
Di lì è derivato il film Invictus, prodotto e diretto da Clint Eastwood e interpretato da Morgan Freeman (alla lettera: uomo libero) nel ruolo di Mandela, con Matt Damon in quello di François Pienaar, allora capitano della Nazionale di rugby. È una bella storia, ma soprattutto una storia vera. Pazienza se qui Eastwood non è regista sobrio come in Gran Torino: rivolto soprattutto al pubblico africano e a quello nero degli Stati Uniti, Invictus ribadisce le situazioni (Freeman e Damon si stringono la mano a ripetizione) perché tutti capiscano che la vera ragion di Stato non prescinde dalla nobiltà danimo.
Mezzora di meno e Invictus sarebbe un grande film.
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