Lo spettro dei tanti flop degli Expo passati

Una serie di interventi da parte di architetti di nome e di valore, basta citare i nomi di Portoghesi e Cervellati, si trova concorde su più di una considerazione che riguarda l'Expo a Milano. Un dato difficilmente contestabile è quello che la maggior parte delle Expo, dagli anni Settanta in avanti, non hanno mai avuto i visitatori che ci si aspettava, perché in realtà queste Expo sono esibizioni e mostre di quanto esiste o viene prodotto in ogni Paese, tutte cose già conosciute, alcune addirittura a contenuto pubblicitario, viste e riviste negli anni e già diffuse da stampa, televisione e sempre più da Internet. Quando Cervellati parla di esposizioni «ottocentesche» non è certamente lontano dalla realtà, e se Portoghesi afferma che «sarebbe un fatto epocale se l'Expo fosse attenta ai problemi e al modo di risolverli, e non una celebrazione di rimasugli inutili, come i vari costosissimi stand» non sembra certo un avvertimento inutile.
Noi pensiamo che il contenuto di fondo dovrebbe essere quello di uno «sguardo verso il futuro», che già oggi non ci sembra una mèta molto felice, e anche, cosa importante e forse inedita, di una celebrazione di amicizia e conoscenza più approfondita tra i popoli, rapporti che oggi nel mondo non sembrano essere del tutto idilliaci. E allora dal nuovo cda ci si attende un impiego corretto delle risorse (la popolazione oggi in difficoltà mal digerisce le grandi cifre stanziate), una sistemazione del territorio per lo sviluppo della metropoli, nella sue edilizia e nei suoi collegamenti (risolvendo così anche i problemi annosi dei pendolari) e il rispetto di un verde che è tutto da accrescere.

Niente anacronistici discorsi come quelli sulle vie d'acqua o su un impossibile opera faraonica come il tunnel che da Rho porta fino a Linate. Cogliamo soprattutto l'occasione per migliorare la città e chi ci vive, ricordando che oggi molti ci vivono malamente.

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