Nel febbraio del 1830, a nemmeno ventanni, Théophile Gautier irruppe sulla scena letteraria in veste di claqueur. Cera la prima dellErnani di Victor Hugo alla Comédie Française e, capelli lunghi e gilet color ciliegia, dalla platea Gautier guida la claque degli ammiratori. È il trionfo del romanticismo in letteratura e in politica, perché le barricate di Parigi congedano di lì a poco, con la «rivoluzione di luglio», la monarchia dei Borboni.
Ironia della sorte, il giovane Théophile fa vincere qualcosa che gli si rivolterà contro. Monarchico convinto, suo padre ha puntato tutta la sua fortuna su quel re allimprovviso senza corona, e ciò vuol dire la rovina economica per lui e per il figlio. Quanto al nuovo sentimento letterario degli Hugo, dei Vigny, dei Lamartine, il poeta come vate, come educatore e guida, il ragazzo Gautier non sa che farsene: lui sogna unarte libera e inutile, libertina e irresponsabile. Cinque anni dopo, con Mademoiselle de Maupin, ne traccia il compendio e insieme il manifesto: lestetica su tutto, laristocrazia del gusto, lamore libero e la provocazione permanente. Anche stavolta non ha misurato bene le conseguenze. Il successo, meglio, lo scandalo del romanzo, gli apre le porte del giornalismo e dellindustria editoriale e lo incatena al primo come alla seconda. Da allora, per quarantanni, ovvero sino alla morte, gli toccherà fare da pedagogo, scopritore di talenti, cronista del meglio e del peggio che attraversano la scena artistica di Parigi: il piacere trasformato in dovere, larte per larte in professione... «Non mi è mai piaciuto scrivere, e poi è così inutile!... Io non vado veloce, ma procedo sempre, perché, come vedete, non cerco il meglio... Un articolo, una pagina sono cose da farsi di getto. È come un bambino: cè o non cè. Non penso mai cosa scriverò. Prendo la penna e scrivo... Eccomi davanti alle carte: sono come un clown sulla pedana...». È però a lui che Baudelaire dedicherà I fiori del male, è lui che Flaubert e Delacroix, Courbet e Manet sentono come maestro, amico, fratello.
Nel bicentenario della nascita, limpressione è che Gautier sia ancora uno scrittore falsamente conosciuto e tutto da scoprire. È ciò che pensa Paolo Tortonese, che insegna letteratura francese del XIX secolo alla Sorbona nuova e che ha appena curato per Laffont un volume che ne raggruppa lopera narrativa (Oeuvres, pagg. 1792, euro 33). Ed è anche il parere di Stéphane Guégan, che gli ha ora dedicato una biografia (Théophile Gautier, Gallimard). Resta il fatto che è stato Gautier a introdurre per primo la definizione di «fantastico» in letteratura e, dal Roman de la momie a Arria Marcella, a portare il lettore a spasso per lantico Egitto imbalsamato dei Faraoni e la Pompei imbalsamata dal Vesuvio... E che dire del demoniaco presente in La morte amoureuse, della trasmigrazione delle anime in Avatar, dei paradisi artificiali di Le Club des Hachichins?
Lalfa e lomega della sua opera restano però due romanzi: il già citato Mademoiselle de Maupin che lo rivelò, Il Capitan Fracassa che un quarto di secolo dopo lo consacrò. Apparentemente, sono uno la negazione dellaltro: tanto è irrispettoso il primo, tanto è tradizionale il secondo, e se nelluno lautore entra ed esce di scena, nellaltro se ne resta fra le quinte... E tuttavia sono le due facce della stessa medaglia, vale a dire il piacere del racconto in sé, intreccio, personaggi, descrizioni, e insieme la consapevolezza che tutto è stato già raccontato e che il nuovo consiste nel dettaglio, nella complicità con chi legge, nel gioco dei rimandi e delle citazioni, nel divertirsi a smontare e rimontare una macchina narrativa tanto più vera quanto più percepita e presentata come finta. È quello che Paolo Tortonese definisce il «secondo livello» in letteratura di cui Gautier è linventore, un secolo prima dei giochi intellettuali di Perec, di Queneau o di Calvino, in anticipo anche sul nouveau roman e sui teorici stessi della «morte del romanzo»... Sotto questo profilo, Gautier è un moderno prima del tempo e lo è in virtù del suo disprezzo per il progresso e della sua consapevolezza della decadenza, vista non come uno stato di crisi, ma come il momento in cui una società non può che riflettere, interrogarsi, esplorare il senso di impotenza e insieme di saturazione che è proprio di tutto ciò che finisce.
È anche per questo che il XX secolo delle ideologie tratterà Gautier come un corpo estraneo. Non può applicare alla sua opera il trattamento fatto per quella di Balzac o di Flaubert, scrittori anchessi «reazionari», ma la cui visione della borghesia può essere rivista e corretta alla luce «rivoluzionaria» della lotta di classe...
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