Il «Professor» Tite, superato l'ostacolo Messico, si sarà gustato la consueta caipirinha. Accadeva anche ai tempi del Corinthians: ogni vittoria, una bevuta rilassante. Il suo Brasile ha molto di italiano e non solo perché il ct ha origini mantovane (la famiglia di Adenor Leonardo Bacchi è originaria di Viadana) e ha studiato a lungo la Juve di Capello: una scuola italiana che propone gioco, più aggressiva e non solo in contropiede.
Il suo 4-1-4-1 è un messaggio ai giocatori che lo adorano perché lui non li ossessiona, ma li convince. «Pensa sempre agli altri», il suo motto. Rientrano tutti e tutti si sacrificano perché come dice Tite «la leadership di un gruppo si compone di più aspetti, assumersi la propria parte di responsabilità vuol dire condividere le gioie». Ed ecco che il Brasile calibrato impostato dal ct sa anche difendersi: Alisson ha dovuto compiere pochissimi interventi (più di piede che di mano e un solo vero errore su un'azione della Serbia) soprattutto grazie ai centrali di retroguardia, l'interista Miranda e l'ex milanista Thiago Silva, capitano in due partite, che hanno blindato il reparto e al robusto lavoro di Casemiro (che salterà i quarti per squalifica), spesso arretrato a dar man forte alla linea dei quattro. Il perno davanti alla difesa, così come era Ralf al Corinthians. In più c'è il «soccorso» di Paulinho, ma pure Coutinho e Willian partecipano con rincorse e recupero dei palloni che non devono assolutamente arrivare in area.
Il vecchio adagio del jogo bonito recitava: la Seleçao i gol deve farli, non evitarli. Ma poi è arrivato il giorno del Mineirazo: quel 7-1 incassato a Belo Horizonte contro la Germania è «una ferita ancora aperta», come disse Tite quando ritrovò a marzo la National Mannschaft in un'amichevole a Berlino. E visto che la storia non si cancella, una delle porte dello stadio che ospitò quella gara è stata donata alla Federcalcio tedesca per un'iniziativa benefica: maglie della rete divise in oltre 8000 pezzi venduti a una cifra simbolica di 71 euro l'uno. Quella sfida ha fatto piantare a Tite fondamenta profonde. Questione di equilibrio e non del «primo, non prenderle» che sarebbe stata un'offesa alla bellezza secolare del gioco dei verdeoro. Così il ct in 25 partite della sua gestione ha subito solo 6 reti, a fronte delle 54 segnate. Un solo gol incassato nel Mondiale, molto contestato dai brasiliani per quella spinta (ritenuta leggera dall'occhio del Var) dello svizzero Zuber su Miranda.
E mentre i messicani sconfitti spargono veleno e lamentele dopo il ko con la Seleçao soprattutto nei confronti di Neymar («è un provocatore, gli arbitri non dovrebbero concedergli certi comportamenti») riferendosi alla sceneggiata sul pestone ricevuto da Layun («c'è qualcuno che vuole minarmi», la replica del 10 verdeoro), nel ritiro
di Sochi la truppa brasiliana si è goduta qualche ora di relax con le famiglie. Il sogno mondiale passa anche dai momenti di serenità. «È la Coppa del Brasile», il proclama di O' Ney. Sorridente, nonostante gli attacchi.
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