Calcio

"Il calcio è lo specchio dell'Italia. Noi siamo un Paese di furbetti"

Intervista ad Arrigo Sacchi. Il tecnico dei trionfi milanisti: "Rossoneri dominati dal Psg Pioli insegue la tattica, invece dovrebbe puntare sulla strategia"

"Il calcio è lo specchio dell'Italia. Noi siamo un Paese di furbetti"

È deluso Arrigo Sacchi: «Il Milan contro il Psg non mi è piaciuto - spiega al Giornale -. Confuso, senza geometrie e raccordo tra i reparti. La partita è stata dominata dai francesi. Il Milan ha commesso l'errore di giocare lungo, lasciando il contropiede a gente come Mbappé e Dembélé. Pioli è bravo, ma rimane ancora troppo tattico. Dovrebbe essere più strategico». Sacchi deluso, ma anche disilluso: «Il calcio italiano è lo specchio di un Paese che non ha la cultura del fare squadra. Ognuno gioca per sé senza capire che si arriva in alto solo puntando sul collettivo».

Un concetto-chiave che Arrigo ribadirà anche la settimana prossima, ospite d'onore del festival dell'intelligenza artificiale. Intelligenza «naturale», quella del «profeta di Fusignano», che non ha nulla da invidiare a quella «artificiale»; perché lui, 77 anni, i tempi li ha sempre anticipati, senza bisogno di particolari tecnologie avveniristiche.

Allenatore innovativo e visionario, una specie di Isaac Asimov del football che ha sostituito le tre leggi della robotica con le sue tre leggi speciali: «Vincere, convincere e divertire». Al Parma, al Milan, in nazionale. Sempre coerente al suo credo.

Ai limiti dell'ortodossia, accusa qualcuno...

«Da noi dominano furbizia e opportunismo, non certo il merito. Se perdiamo diamo la colpa alla sfortuna e se vinciamo è perché si specula sugli errori dell'avversario. Preferiamo la tattica alla strategia. Ma, come sosteneva Sun Tzu ne L'arte della guerra, quando un tattico affronta uno stratega ha già perso in partenza. Non a caso da dopo l'epopea dell'Impero Romano, abbiamo preso sempre sberle».

Nel calcio assistiamo a un uso sempre più invasivo della tecnologia. La Var è utile o dannosa?

«Utile. Serve a evitare, o comunque a limitare, le ingiustizie del passato. Progresso e scienza offrono sempre nuove opportunità. E ciò vale anche per l'intelligenza artificiale. A patto che...».

A patto che?

«Gli algoritmi non dimentichino una formula umana, fondamentale nel calcio».

Vale a dire?

«1 per 1, fa 1; ma 1 per 11 fa 11. Significa che il singolo deve mettersi al servizio del gruppo».

Come accadde col Milan stellare della coppia Sacchi-Berlusconi.

«Con Silvio e Galliani sceglievamo i giocatori giusti, tutti pronti a sacrificarsi l'uno per l'altro. Con questo spirito abbiamo conquistato trofei internazionali anche in assenza di Gullit e Van Basten o giocando 10 contro 11».

Non le piace la frase «squadra che vince, non si cambia».

«Churchill diceva: Cambiare non ti dà la certezza di migliorare ma per migliorare bisogna cambiare».

Berlusconi la pensava nello stesso modo.

«Sì. Un imprenditore lungimirante circondato da collaboratori capaci».

Tra i quali lei...

«Mi volle sulla panchina rossonera dopo che col mio Parma, neopromosso in B, vinsi due partite a San Siro. E così iniziò un ciclo memorabile».

Ma è vero che Berlusconi era restio a prendere Ancelotti dalla Roma?

«Gli chiesi di prendere Carlo. Silvio era scettico. Mi rispose: Ma sei sicuro? Mi dicono che è una sola e ha le ginocchia rovinate.... E io: Se lo porta da noi, vinceremo tutto. Fui buon profeta».

A proposito di Ancelotti, ha detto di lei: «Arrigo è stato un marziano. Ha avuto la forza e il coraggio di innovare in un ambiente che era indietro e ancorato alla tradizione».

«Carlo ha recepito il senso del mio lavoro: offensivismo, equilibrio tra reparti, applicazione di schemi condivisi e un gruppo motivato che rema nella stessa direzione».

E quando si ha in squadra un talento anarchico come Maradona che si fa?

«Maradona una volta mi telefonò dicendo: Vieni ad allenare il Napoli, con me in squadra ogni partita parti con un gol di vantaggio...».

Cosa gli rispose?

«E se tu e Careca siete infortunati?».

È rimasta celebre la sua frase: «Angelo Colombo in tre anni ha vinto col Milan più di Maradona nel Napoli». È un paradosso o ci crede davvero?

«Numeri alla mano, è la verità. Anche se poi i giornali, decontestualizzando il discorso, titolarono: Per Sacchi Colombo è meglio di Maradona!».

Cosa pensa dei giocatori che scommettono sulle partite di calcio?

«Non conosco personalmente i ragazzi coinvolti in quest'ultimo scandalo. È una brutta storia che mi amareggia, ma non meraviglia. Siamo un popolo di ignoranti, presuntuosi e arroganti. Cosa possiamo aspettarci in un Paese dove gli insegnanti hanno stipendi umilianti? In Spagna un docente guadagna il doppio, in Francia il triplo, in Germania il quadruplo. Prima le nostre università erano piene di stranieri. Ora sono i nostri giovani che fuggono all'estero».

Quando da piccolo andava in Germania con suo padre a vendere le scarpe, i tedeschi dicevano agli italiani: Pizza, mafia, catenaccio».

«La pizza, per fortuna, ancora ce l'abbiamo; la mafia, purtroppo, ancora esiste; il catenaccio, da parte mia, l'ho sempre combattuto».

Anche nel nostro campionato ci sono allenatori fautori del Sacchi-pensiero.

«Qualcosa negli ultimi anni si sta muovendo. Il Sassuolo che batte le grandi è un bel segnale».

E la nazionale azzurra, dopo due tornate mondiali ferma ai box, tornerà ad essere grande?

«Nel nostro campionato gli italiani che giocano titolari sono una minoranza. Così tutto diventa più difficile. Ma Spalletti è capace.

Merita fiducia».

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