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Una ciocca tagliata fa lo scalpo agli Ayatollah

Un gesto, basta un gesto, per lasciare in bilico tutta un vita. Se lo fai qui significa poco, ma se sei un giocatore della nazionale iraniana di beach soccer allora hai un coraggio che sfiora l'incoscienza

Una ciocca tagliata fa lo scalpo agli Ayatollah

Un gesto, basta un gesto, per lasciare in bilico tutta un vita. Se lo fai qui significa poco, ma se sei un giocatore della nazionale iraniana di beach soccer allora hai un coraggio che sfiora l'incoscienza. È l'incoscienza di chi davvero si batte per la libertà, la sua e quella di chi sta peggio di lui. È una domenica di novembre e a Dubai si sta giocando la finale della Emirates Intercontinental Cup. In campo, sulla sabbia, c'è l'Iran che sfida il Brasile. La partita è in diretta televisiva in entrambi i Paesi. Qualcosa di insolito accade subito, quando i calciatori si allineano, cinque contro cinque, per ascoltare gli inni nazionali. I brasiliani cantano il loro, gli iraniani no, stanno zitti, a labbra serrate, con l'orgoglio di chi non si riconosce in un regime. Non stanno giocando per gli Ayatollah. Questa finale di sabbia e rivolta è per le donne sciite che non si riconoscono in una teocrazia che soffoca giorno dopo giorno la vita quotidiana. È per tutti gli iraniani che non credono nella «rivoluzione» khomeinista. È come se il tempo andasse sempre a ritroso. Allora serve un gesto che spezzi il flusso, una discontinuità, un colpo netto a spezzare il destino. Eccolo. Saeed Piramoon, con la maglia bianca e il nome e il numero 15 in rosso sulla schiena, con un gesto al volo di destro mette la palla dentro la rete, poi si volta verso il pubblico, quello che sta lì e quello del mondo, e con la mano sinistra raccoglie una ciocca dei suoi capelli e con la destra con le dita a forbice mima di gesto del taglio. È il segno in onore di Mahsa Amini e delle altre martiri. La televisione di Stato immediatamente di oscura, ma ormai l'oltraggio lo hanno visto tutti. L'Iran vince la coppa, il Brasile è sconfitto due a uno. Non è questo che però conta.

La partita vera è quel taglio di capelli immaginario.

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