di Franco Ordine
C'è subito da chiedersi: ma quel Rizzoli (nella foto), perfetto arbitro della finale di Champions a Wembley, è lo stesso Rizzoli arbitro a volte pasticcione e discusso del nostro campionato? E poiché il quesito ha valore di provocazione, ecco la discussione che ne deve seguire e che qui affrontiamo senza il rischio di finire tra la solita schiera di tifosi. Allora: Rizzoli è proprio lui, sempre lo stesso. E ancora una volta Collina, il designatore Uefa, che considera Rizzoli numero uno della squadra italiana di fischietti (al contrario di Braschi e Nicchi), ha avuto ragione. La prova di Rizzoli è stata giudicata in modo eccellente dai critici: uno solo il rilievo critico, riferito al mancato giallo per Dante all'atto di concedere il rigore, sacrosanto, al Borussia. «L'ammonizione è obbligatoria se si fischia il rigore» sostiene l'esperto Pistocchi. Ci dispiace ma non è così: basta consultare non soltanto i fascicoli ma anche i senatori del mestiere. Piuttosto, persino in una materia molto volubile come il fuorigioco, la perfomance degli assistenti è da inserire nell'album dei ricordi strepitosi: Faverani e Stefani, segnatevi questi cognomi, non ne hanno sbagliato nemmeno uno per combinazione. Anche per merito loro Rizzoli viene promosso a pieni voti e con lui Collina, accusato di aver fatto di testa sua (meno male). Eppure resta l'interrogativo più angosciante ancora aperto: come può un principe del fischietto scadere a prove dirette e a suggerimenti (ve lo ricordate quando indusse in errore da addizionale durante Catania-Juve?) disastrosi soltanto passando dal palcoscenico più impegnativo e stressante di una finale di Champions a quello del campionato domestico? La risposta più convincente è una e una soltanto: il bolognese, quando si ritrova dalle nostre parti, subisce il condizionamento di polemiche, sospetti, veleni e polemiche, giornalistiche e televisive. Se ne fa carico, in modo eccessivo, fino a perdere quella olimpica sicurezza segnalata nel sabato londinese in cui non sbaglia un solo intervento, finendo pure una volta per intralciare il gioco, involontariamente.
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