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Costantino Rozzi e l’Ascoli: per amore della provincia

Ineffabile, scaramantico, autoritario, contestatore: un presidentissimo, mille anime

Costantino Rozzi corre a bordo campo dopo un successo del suo Ascoli
Costantino Rozzi corre a bordo campo dopo un successo del suo Ascoli

Voleva laurearsi in ingegneria, ma non fu mai possibile. Ottenne comunque una laurea honoris causa in sociologia e lottò a lungo affinché anche Ascoli Piceno fosse munita di una sede universitaria. No, non stiamo alludendo ad un luminare accademico. Sarebbe riduttivo.

Per provare a spiegarlo, proviamo così. "Sì, lo so, mi contraddico. Sono vasto, contengo moltitudini". Prendere in prestito un verso di Walt Whitman potrebbe apparire sacrilego per un pezzo che ciarla di pallone. Ma se il calcio, al solito, diventa pretesto e metafora per raccontare la complessità dell’uomo, allora i conti tornano già di più. Anche perché Costantino Rozzi, nato ad Ascoli Piceno in un gelido giorno di gennaio del 1929, è stato un tizio abitato davvero da mille anime.

Nel ’68, epoca agitata da moti tumultuosi, diventa presidente del club della sua città quasi per caso. Da quelle parti ancora non lo sanno, ma sta per iniziare un autentico show. Lui giura che rimarrà soltanto sei mesi, il tempo necessario per risanare un bilancio sanguinante. Invece succede qualcosa di diverso: Rozzi si appassiona a tal punto alle sorti della squadra - da lui stesso definita “un fatto sociale” - che non solo resta, ma dichiara senza indugi di volerla condurre in serie A.

Detto fatto. La panchina viene consegnata al giovane tecnico Carlo Mazzone, destinato a diventare il decano di tutti i tempi. La risalita verso le categorie più nobili del calcio italiano è graduale, ma inesorabile. Nel 1974 i bianconeri diventano la prima squadra marchigiana ad essere promossa nella massima serie. Rozzi, intanto, occupa di diritto le copertine dei principali media nazionali. La sua figura, pittoresca e seducente, è manna celeste per i giornali.

Iniziamo dall’outfit: sovente lo si sorprende avvolto in un ingombrante cappotto di cammello, il primo ammennicolo da scaraventare a terra quando le cose non girano nel verso giusto. Poi, scendendo, ecco quel paio di mitologici calzettoni rossi: li indossa durante ogni match: la superstizione non è accessorio dimenticabile, ma tratto identitario. Oltre alla cabala, spicca un carattere ruvido, volitivo, che lo rende un vero e proprio one man show. Basti osservare come gestisce la società: Costantino Rozzi è l’Ascoli e l’Ascoli è Costantino Rozzi. Chi ha bisogno di un ds? Alle trattative di calciomercato ci pensa lui. A che serve poi un addetto stampa? Con i giornalisti ci parla direttamente, al bando i filtri. La comunicazione per la campagna abbonamenti? Sempre lui. L’amministrazione? C’è bisogno di chiederlo? L’unico appoggio contemplato è quello di una segretaria spompata dalla sua attitudine vulcanica ed evidentemente propaggine dei sui tentacoli.

Ma Costantino Rozzi, l’uomo che ha saputo conquistare le viscere degli ascolani anche più dell’editore e produttore cinematografico Cino Del Duca, era ancora di più. Conduce una strenua battaglia in nome dei diritti delle provinciali di tutta Italia, triturate dalla grancassa narrativa riservata alle big. Coltiva il valore del vivaio. Confida in tutto quello che è locale e lo alimenta con ogni mezzo: non si tratta solo di pallone. La sua è una promozione di respiro regionale. Le ditte che lavorano con lui sono tutte del territorio, salvo qualche rara eccezione. Il suo accento polposo - oggetto di scherno da parte di chi sta incollato al Processo del lunedì di Biscardi - racconta una vocazione sincera. La formula anglosassone “support your local team” è quantomai calzante. Irascibile a comando, fomenta gli animi e contesta il novanta per cento delle decisioni arbitrali, ergendosi ad araldo degli sfavoriti.

Nel frattempo non perde il vizio di costruire. Prima amplia il Del Duca in tempo record, poi tira su stadi a Lecce, Avellino, Benevento e Campobasso. Dimostra di saper maneggiare con la medesima confidenza anche le decisioni di campo: ingaggia Boskov in panchina e si sfrega le mani per frotte di intuizioni e colpi felici: Liam Brady, Bruno Giordano, Walter Junior Casagrande, Oliver Bierhoff e Walter Novellino, per nominarne solo alcuni.

Sotto il suo cappotto di cammello l’Ascoli si concede il lusso di spuntarla contro il Milan e la Juventus, sfiora la qualificazione alla coppe europee e infila in bacheca coppe secondarie, d’accordo, ma pur sempre coppe. La provincia di Rozzi, carattere da difendere dalle incursioni delle globalizzazione, viene issata verso l’alto come raramente era accaduto prima. Autoritario, ma anche morbido all’occorrenza. Nazional popolare nell’atteggiamento, ma con una visione di caratura internazionale premuta in fondo alla mente. Lascia improvvisamente tutti nel 1994. Ai suoi funerali accorrono 20mila persone, sintomo dell’affetto sincero che ti procuri quando combini qualcosa di buono.

Quella laurea in ingegneria alla fine non l’hai mai presa, ma certe deviazioni del destino a volte ti fanno conquistare molto di più.

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