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La Cremonese torna in B: il grigiorosso è vintage

La squadra che fu di Vialli e Cabrini simbolo del calcio pane-e-salame ci fa rivivere gli anni ’90

La Cremonese torna in B: il grigiorosso è vintage

P oteva succedere solo così. Sotto il diluvio, in rimonta, a 3 minuti dalla fine, contro una squadra già retrocessa nei dilettanti, a firma di un tale che di nome fa Scarsella, con un batti e ribatti da Terza categoria, una fagiolata in area, tira, mòla, mesèda e poi gol. Fa niente se tra gli 11mila dello Zini, ricordando lo scandalo scommesse di Paoloni, qualcuno maligna di pastette col Racing Roma: «Cat, se ste ‘olta i l’ha cumprada... I ga fàt béen!». Meglio comprarle che venderle. Perché i fantasmi si battono con cuore, culo e autoironia made in provincia. Il ritorno della Cremonese in serie B dopo 11 anni è vintage come i Vhs, i paltò beige e i Distinti dove si commenta la partita in dialetto. «Mi è sembrato di sentire Cremona...», canta la curva. E Cremona resta terra-terra, si accontenta di poco: giocare tra i cadetti, magari salvarsi, con Diletta Leotta che parla dello «squadrò» il sabato pomeriggio su Sky. Senza retorica vale una Champions, è la giusta dimensione di città quieta e genuina. Non serve uno Stadium o un inno vip se poi in curva non ci va nessuno neanche in Serie A (vedi Sassuolo). Nell’era dei vegani e delle crociate politically correct contro il maiale, il calcio pane-e-salame è fuori tempo massimo. Ed è per questo che l’idea di ritrovarlo ad alti livelli emoziona tutti. Perché la Cremonese non è solo di chi a Cremona sopravvive a 6 mesi di nebbia l’anno, al colesterolo e a cataste di playoff persi, da Varese a Trapani, da Cittadella a Bolzano. La Cremonese, quella che sabato è stata perfino fra i trend-topic su Twitter, è diventata un simbolo, una madeleine infragenerazionale. Quanto erano belli Cabrini e Vialli. Ti ricordi Chiorri con la criniera e la sigaretta? E Dezotti in finale a Italia ’90? A Wembley Tentoni sembrava Van Basten. E oggi se c’era Rampulla magari la risolveva lui di testa... Gira una foto su Internet: a Foggia in 50mila in piazza per la promozione, a Cremona qualche centinaio al Bocciodromo. Sacrosanto, è il Dna di una città tutta fossi e basso profilo. Niente adunate oceaniche, che l’oceano ci mette ansia; ci basta il Po e stare vicini tra amici, che in 50mila il pane e salame finisce subito. E poi la gioia vera è di pochi. Di Prezza e Soldaz che sul 2-1 escono tremando perché un altro lutto non lo possono reggere, del Bissi che in trasferta è andato fino a Olbia, di Albi a Londra che gli ultimi minuti li ha passati al telefono in telecronaca diretta mollando la fidanzata a Camden Town. La festa è roba loro e solo loro. Eppure l’emozione del ritorno contagia tutti, anche chi non se l’è guadagnata tifando in questi anni di pantano in Lega Pro contro Giana Erminio o Feralpi Salò. Si emoziona chiunque leghi i suoi ricordi di vita al calcio. La Cremo sarà sempre i baffi di Mondonico e gli occhiali fumé del patron Luzzara, la figurina di Montorfano e Piccioni, Sassi a Novantesimo minuto e una maglia unica al mondo. La Cremo di nuovo in B sono gli anni ’80 e ’90, i tempi dell’oratorio la mattina e lo stadio al pomeriggio senza tornelli, il Gruppo Sanitarium e la «Vecia Goga», ultras senza anfibi né razzismi armati solo di qualche innocuo «va a ciapàl in del cül». #cremonese è un placebo contro il tempo che passa, ti fa sentire di nuovo giovane che tu abbia 60 o 35 anni, che tu sia della Juve, della Lazio o della Sambenedettese (ma non del Mantova o del Piacenza...). Eppure non c’è solo memoria nella promozione in B dei grigiorossi. Sì, il presidente è il Cavalier Arvedi, imprenditore dell’acciaio, di fatto il padrone della ferriera, figura quantomeno démodé. Però la promozione è arrivata quando la società ha avuto il coraggio di affrancarsi dal suo passato. Che resta nel cuore, ma non nell’organigramma. Basta vecchie glorie in panchina e dirigenti storici, meglio guardare avanti. Che se perfino nella liuteria abbiamo consegnato alla storia Stradivari, possiamo fare lo stesso anche con l’eroico Gigi Simoni. Perché la speranza è verde, la fifa è blu, e la nostalgia dev’essere per forza grigiorossa.

Ma nemmeno il nostro sano, inguaribile pessimismo ci impedisce di credere – almeno per oggi - in un futuro calcistico di nuovo roseo.

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