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La Dea e il Diavolo ribaltati sulla Milano-Bergamo

L'Atalanta incanta in Champions, il Milan fatica in Italia: è un perfetto scambio di ruoli tra i club

La Dea e il Diavolo ribaltati sulla Milano-Bergamo

Atalanta-Milan di questi tempi è il capovolgimento dell'ordine calcistico, è la provincia che si fa metropoli. A ristabilire le antiche distanze e gerarchie resta soltanto il passato, appena celebrato a San Siro nella festa dedicata al compleanno numero 120 e coincisa con il modesto 0 a 0 realizzato al cospetto del Sassuolo. Oggi Atalanta e Milan viaggiano su due pianeti capovolti. A Bergamo, per esempio, c'è di casa la Champions league: appena conquistati gli ottavi con una rimonta che sa d'impresa storica a dispetto di un girone comandato dal City di Guardiola che ha reso indimenticabile la definizione di Gasp e della sua squadra («è come andare dal dentista»). Deve aver portato fortuna anche San Siro ceduto in comodato d'uso con la raccomandazione di chiudere le due curve, nord e sud, residenza degli ultrà di Inter e Milan.

Già, il Milan. Considerava quella coppa il suo habitat naturale, definizione di Adriano Galliani, ne ha invece smarrito le tracce da 5 lunghissimi anni e ha soltanto sfiorato l'anno scorso, col vituperato Gattuso, il quarto posto che avrebbe festeggiato come un trofeo dei 48 vinti nella sua lunghissima storia. Non è l'unica inversione di ruoli. Basta vedere come gioca in campionato l'Atalanta, come incanta la platea e anche i rivali, concedendosi soltanto qualche pausa (a Bologna) per pagare il naturale tributo alla fatica del viaggio in Ucraina. A Gasperini hanno consegnato il premio intitolato a Scopigno che non fu esattamente il suo modello, fumatore incallito Manlio, filosofo disincantato, autore del Cagliari scudettato di Riva, portato più alla battuta sarcastica che alla polemica velenosa come succede spesso a Gasp, diventato cittadino onorario di Bergamo.

Anche sul mercato, l'Atalanta sembra l'eldorado e il Milan invece una fabbrica in dismissione. Percassi, il presidente, può concedersi il lusso di allestire uno schieramento quasi interamente straniero senza provocare rivolte, spendendo 36 milioni di stipendi, un terzo di quel che versa invece il fondo americano Elliott ai suoi tesserati di Milanello. E se gli capita l'affare, tipo Kulusevski trattato ieri per un passaggio immediato in casa Inter, non si tira certo indietro visti i flop precedenti. Già, pensate un po': da Gagliardini a Kessiè, Cristante, Petagna, escludendo i due colpiti da gravi e ripetuti infortuni, Caldara e Conti, la loro partenza non ha provocato alcun contraccolpo, anzi ha contribuito a migliorare la resa.

Di segno opposto, addirittura, le notizie da Milanello che danno in uscita, per insoddisfazione, Rodriguez, Kessiè e Rebic mentre da Ibra non arrivano segnali confortanti. Il Milan ha bruciato una fortuna dal 2010 in poi: secondo uno studio sul mercato ha investito 438,8 milioni guadagnando l'ultimo scudetto più la supercoppa (a Pechino contro l'Inter allenata da Gasperini) e poc'altro ancora. E dall'addio di Silvio Berlusconi è alla ricerca di un rilancio che ritarda e che anzi accentua il distacco dalle nuove reginette del torneo.

Domenica, a pranzo, il Milan può contare solo su un minuscolo tabù: da 3 anni, a Bergamo, risulta imbattuto.

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