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Facchetti jr si racconta: "Tiferò Juve. Ma solo in uno spareggio per la B..."

Da piccolo era portiere e il suo idolo era Matteoli. Gianfelice, figlio di Giacinto, ha scritto "Sennò che gente saremmo" per raccontare papà. Noi lo abbiamo fatto raccontare se stesso: da Amleto a Fillol, da Eduardo a Calciopoli. Fino a "una storia bellissima chiamata Inter"

Giacinto Facchetti con il figlio Gianfelice
Giacinto Facchetti con il figlio Gianfelice

Gianfelice Facchetti ha 38 anni, gli occhi del papà e un amore invincibile per il teatro che poi è anche passione per la vita. Attore, drammaturgo, regista ha raccontato il padre Giacinto, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, scomparso il 4 settembre del 2006, nel libro «Se no che gente saremmo» edito da Longanesi che ha vinto il Premio Bancarella sport. É la storia del papà ma anche la sua. Un testamento morale per chi non ha paura della parola perché «nella vita si dice una cosa ed è quella. Sennò che gente saremmo». Noi invece lo abbiamo fatto raccontare se stesso. Almeno un po'...

La più bella partita a cui ha assistito?

«Inter-Roma 4 a 3, Supercoppa italiana nell'agosto 2006».

...e si ricorda la prima?

«Italia contro Jugoslavia a Torino, nebbia e noia...»

Il suo interista preferito dopo papà?

«Gianfranco Matteoli. Quando se ne andò da Milano pensai di diventare tifoso del Cagliari...»

La sua formazione dell'Inter di tutti i tempi?

«Zenga, Burgnich, Facchetti, Matteoli, Samuel, Picchi, Jair, Ince, Boninsegna, Matthaus, Milito».

L'Inter è...

«...una storia bellissima in cui ho avuto la fortuna di cadere dentro».

In quale occasione potrebbe tifare Juventus?

«Spareggio col Milan per non andare in B...»

...e Milan?

«Un tempo per uno, va bene?...»

Dopo Calciopoli «nulla sarà più come prima» o «tutto viene per passare e niente viene per restare»?

«Qualcosa è cambiato ma è mancato coraggio per andare fino in fondo... basti vedere come si sono riciclati tanti personaggi che occupavano posti cruciali prima del 2006».

Chi è il Facchetti del teatro a parte Gianfelice?

«Penso a Nekrosius, un regista lituano che con pochi elementi naturali crea cose incredibili. Anche i muscoli e il cuore di Facchetti hanno regalato bei sogni...»

Cosa c'è di teatrale nel calcio?

«Sempre più cose. Il fatto che questo sport sia diventato sempre più uno spettacolo rende per forza di cose consapevoli i suoi attori in campo: basta vederli esultare...»

...e di calcistico nel teatro?

«La preparazione a un debutto io la affronto con la stessa meticolosità con cui un allenatore cura i dettagli prepartita; ci vorrebbe un po' più di tifo come al Colosseo... a teatro ci si gioca un po' di vita».

Aver voluto fare il portiere da ragazzo non era, visto la particolarità del ruolo, un modo di recitare?

«Ci sono stati anche portieri silenziosi e composti come Zoff; io andavo a giorni...»

Ispira il teatro più il vizio o la virtù?

«La passione e l'urgenza di raccontare una storia. Niente di più».

Il teatro migliora l'umanità, la peggiora o la lascia così com'è?

«Dovrebbe regalare visioni, un respiro e uno sguardo diverso sulla quotidianità, dovrebbe far sognare».

Il più bel personaggio nella storia del teatro?

«Amleto».

E quello che somiglia più a papà?

«Ettore, l'antieroe capace di spogliarsi dell'elmo con un gesto disarmante».

E quello che somiglia più a lei?

«É il più popolare perché è in ognuno di noi, sarò ripetitivo: Amleto».

Si recita più col cuore o col cervello?

«L'intelligenza è allegria e amore, non è una cosa fredda, è il desiderio di scavare sotto la superficie».

Ti piacciono più i ruoli comici o drammatici?

«Il punto più alto di una poetica per me sta nel momento in cui non si sa se ridere o piangere; anche da spettatore vorrei viverlo spesso».

Il più bel regalo che ha mai ricevuto in vita sua?

«Il primo paio di guanti da portiere, venivano dal Mondiale del 1982: appartenevano a Ubaldo Fillol, portiere dell'Argentina».

Il suo gioco preferito da bambino?

«Pallone a parte... biliardino: non se ne usciva!!!»

Cosa voleva fare da grande?

«Credo di aver immaginato di tutto, dal portiere al marinaio».

Subisce un po' il complesso di essere il figlio di Facchetti?

«No, mi porto a spasso con molto piacere il cognome che ho».

In cosa è identico a lui...

«Nel modo di dedicarmi alle cose a cui tengo, non sciupo niente se ne vale davvero la pena».

...e in cosa è completamente diverso?

«Lo chiederei a lui... sarebbe divertente sentire che ne pensa...»

Cosa c'è di suo papà nel suo essere papà?

«La premura verso le persone che ho accanto, mia moglie e i miei figli».

Cosa fa grande un amore?

«La curiosità costante verso chi si ha di fronte, il desiderio di scoprire un'altra persona con le sue differenze...»

La sua convinzione più tenace?

«Senza le altre persone non saremmo niente».

Recita anche nella vita?

«Viviamo tutti nella convinzione di essere spontanei ma già la nostra condizione umana è "rivestita" e "truccata"... basterebbe vedere come ci scegliamo gli abiti per uscire di casa: il teatro è nella vita e viceversa».

In quale massima si identifica di più?

«Eduardo: il teatro porta alla vita e la vita porta al teatro. cerca la vita e troverai la forma, cerca la forma e troverai la morte».

Qual'è la sua idea di felicità?

«So bene cosa mi occorre, tre quattro piccole cose...»

C'è una morale nella favola di Giacinto Facchetti?

«Le belle storie non hanno bisogno di morale, se hanno le gambe per girare vanno per conto loro; penso che la favola di mio padre sia andata così, un po' di fortuna e tanta buona volontà da parte sua e delle persone con cui ha condiviso il suo viaggio terreno per costruire un sogno».

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