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"Federer, Roma ed io. E vi dico che il tennis sarà ancora più azzurro"

Il dt dell'Italia battè Roger al Foro: "Fu il giorno perfetto. E se avessi avuto un team come il mio..."

"Federer, Roma ed io. E vi dico che il tennis sarà ancora più azzurro"

A Filippo Volandri è capitata un giorno la partita perfetta. Era a Roma, come nei suoi sogni da bambino, e dall'altra parte della rete c'era Roger Federer in piena era di onnipotenza. Non quel giorno: finì 6-2, 6-4 per l'italiano, «e io che non sono mai stato un esagerato, girai per il campo per dare il cinque a tutti gli spettatori per renderli partecipi di una gioia pazzesca». Era il 10 maggio 2007.

Quattordici anni dopo, Filippo Volandri è il direttore tecnico della rinascita del tennis italiano, l'uomo a cui la Federazione ha affidato dal 2016 «carta bianca e la possibilità di avere con me un team eccezionale». Il risultato è che nei primi 100 del mondo ci sono 9 azzurri, con Cecchinato che ne è appena uscito. Un record. Ma soprattutto intorno a loro finalmente c'è un altro clima. Perfetto.

Com'è stato possibile?

«Appena smesso di giocare ho cominciato questo lavoro. E l'obbiettivo è stato subito dare nuova credibilità alla Federazione. Com'è successo? Abbiamo smesso di litigare».

Mica facile.

«Non abbiamo risolto tutto dall'oggi al domani. Però siamo andati a parlare con gli allenatori e fatto in modo che loro si fidassero di noi. Vedevano i tecnici federali come un pericolo, invece abbiamo voluto che i giocatori si affezionassero ai loro coach. Così è stato e adesso li aiutiamo a crescere insieme, con consulenze che non avrebbero mai potuto permettersi».

I risultati sono evidenti.

«Stiamo lavorando bene. I primi a credere in noi sono stati Berrettini e Sonego, e questo ha portato altri, per esempio Musetti, a fare lo stesso. Ora dietro loro, Fognini e Sinner, abbiamo tanti ragazzi in arrivo: ci sono 2001, 2002, 2003 che hanno un futuro. Mi dispiace solo che quest'anno non abbiamo avuto ancora tornei Futures in Italia. Un po' ne risentiremo».

Parliamo di Berrettini.

«Non è un caso che sia arrivato Top 10. Matteo dopo gli stop per infortuni è sempre tornato più forte e questo è importante. Non pensavamo che dopo Montecarlo portasse a casa già il titolo a Barcellona, gli mancava il ritmo partita. Invece è stato bravissimo. La sua precocità arriva da una grande maturità: è un po' troppo autocritico, ma è un ragazzo speciale».

Tocca a Sinner.

«Ha qualcosa in più, e in molti aspetti. Innanzitutto talento, e una qualità diversa dagli altri. Per i dati a Miami e Montecarlo dritto e rovescio sono stati i più veloci di tutti, anche di Djokovic. Lui vive per il tennis, guarda al miglioramento e non ai risultati. Oggi a tennis giocano tutti bene, la differenza la fa l'attitudine. E lui ce l'ha».

Dicono: arriverà al numero 1 del mondo.

«Difficile dirlo ora. Ci vogliono tante cose, anche un po' di fortuna. E poi la maturità giusta: guardate Djokovic, capace di salire al top e rimanerci per così tanto tempo. Giocatori così imparano a gestire la pressione. E magari anche quando litigano con la moglie, poi scendono in campo e fanno la grande prestazione. Ci vuole tempo per imparare questo».

A proposito di «quei» grandi: i ragazzi d'oggi sono come loro?

«Lo diventeranno. Oggi si diventa più professionali molto prima, già a 18-19 anni si gira con dei mini team, si ha tutto a disposizione per crescere. Certo che avere un'epoca con campioni come Federer, Nadal e Djokovic, e aggiungo anche Murray, è probabilmente irripetibile. Ma il tennis avrà presto nuovi eroi».

Quando si diventa tennisticamente adulti?

«Il passaggio vero è quello tra juniores e pro. Poi vedi cosa fanno al campo e soprattutto fuori dal campo. Per dire: saper anche gestire i primi amori... L'esempio è la dedizione totale che ha Sinner, ma anche di uno come Musetti».

E Volandri com'era?

«Non ho rimpianti, ho fatto il massimo, sono arrivato a 25 del mondo. Avrei potuto scoprire prima il cemento e avevo un problema congenito alla spalla che limitava il servizio. Ma sono andato all'estero ad allenarmi, ho fatto tutto quello che potevo fare. Mi sono mancate solo un po' di competenze».

È mancato un Volandri

«Ah, ne avrei avuto bisogno. Soprattutto del suo team...».

Visto da tecnico: il contrasto tra alcuni giocatori e l'Atp?

«Secondo me manca qualcosa che unisca le due anime. Andrea Gaudenzi sta facendo un lavoro incredibile da presidente Atp in questa situazione pazzesca. Ma bisognerebbe mediare più sui rapporti piuttosto che sulle idee. Serve forse questa figura di raccordo».

E vista da neo capitano la Coppa Davis?

«Sono felicissimo. Anche se la formula non è che mi esalti. Si doveva fare qualcosa, la pressione e il tempo da dedicare ai match prima erano troppi. Ma passare dai match ai 5 set nel weekend a quelli ai 3 in un giorno... Ci proveremo, comunque».

Infine, tornando a Federer: perché lui è così diverso?

«Lui e così come lo si vede sul campo e fuori. È tecnicamente e biomeccanicamente perfetto. E il fatto di essere più emotivo rispetto alla perfezione di Nadal e Djokovic, lo fa amare di più dal pubblico».

E perché Roma è diversa?

«Per me è tutto: da piccolo sognavo di vincere qui, prima ancora degli Slam. Qui il rapporto col pubblico è complicato, ma se entri nel cuore della gente diventa tutto fantastico. Sì, ho qualche cimelio di quella partita a casa, non li esibisco perché sono poco auto celebrativo.

Però, credetemi: quel giorno è stato proprio perfetto».

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