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Formula1, Ferrari e il vuoto nel comando

La voce spezzata e lo stato apparentemente confuso di Mattia Binotto a fine gara hanno dimostrato i problemi del box di Maranello: la mancanza di leadership e l'inutile dispersione delle forze

Formula1, Ferrari e il vuoto nel comando

La Scuderia Ferrari ha una malattia latente, che si insinua da inizio 2019: a volte più debole, altre volte più coriacea, come un virus che non riesce a essere estirpato. Questo virus è chiamato “vuoto nel comando”.

Mettiamo le mani avanti: le capacità di Mattia Binotto come direttore tecnico sono fuori discussione. Il problema risiede guardando alla sua nuova investitura a team principal: il doppio incarico ricevuto a inizio 2019 per incompatibilità con Maurizio Arrivabene non convince, dimostrando i limiti di un uomo che non può avere sulle sue spalle tutte queste responsabilità.

Lo si è nuovamente visto ieri, nelle interviste a caldo del post gara: la voce spezzata, un mal celato stato confusionale non pronto nelle risposte sulle scelte strategiche. I sintomi di un tecnico chiamato a fare il leader senza riuscirci.

Così, se le prime avvisaglie erano arrivate in primavera, con l’esplosione (pronosticata e quasi invocata dai tifosi Ferrari) del fenomeno Leclerc, non è bastato il miglioramento estivo per eliminare il “virus”.

Il nuovo Patto della Concordia, il budget cap, la gestione dei piloti, le accuse di Verstappen, sono ambiti che richiedono uno sforzo non sostenibile da una singola persona: la storia della Formula1 moderna ce lo insegna.

Torniamo per un attimo al 2018: un anno chiuso con la sconfitta di una monoposto rossa realmente competitiva, decisamente la migliore dell’era turbo-ibrida. Un mezzo tecnico capace di contenere e sopravanzare le Frecce d’Argento in molte occasioni: bilancio finale, un mondiale perso per lo più da Vettel a causa di una serie di sbagli del pilota. Tristemente famosi il Gran Premio di Germania o la tappa italiana a Monza.

Due annate quelle della gestione Arrivabene, che hanno visto sfumare il titolo con uno scambio reciproco di accuse tra la gestione tecnica e quella del muretto: le insinuazioni pubbliche del manager bresciano lanciate per lo stop negli aggiornamenti tecnici 2018 in particolare è stata la goccia che fece traboccare il vaso.

Invece di prendere in mano la situazione Vettel, fu scaricata in pubblico la colpa sul comparto tecnico: inaccettabile per Binotto, che per due anni aveva fornito una vettura da mondiale.

Una sedia per due persone diventata stretta senza l’intermediazione di Marchionne, che ha obbligato il presidente Elkann a fare una scelta: Arrivabene o Binotto. Quest’ultimo inoltre, aveva una serie di proposte dalla concorrenza per far migrare i segreti della power unit rossa altrove e seguire l’esempio di James Allison o Aldo Costa, capaci di conquistare sei titoli mondiali dopo l’abbandono della Scuderia Ferrari.

A una gara dalla fine di questo campionato 2019, Mattia Binotto si ritrova per assurdo in una situazione simile se non peggiore rispetto al predecessore. Anche la diversa distribuzione interna di cui avevamo parlato, non è bastata: rimane un Vettel che non ha risolto i suoi problemi di temperamento mediterraneo e una vettura che dal comparto tecnico ha fatto un passo indietro rispetto agli anni precedenti.

La Ferrari deve fare quadrato intorno a sé stessa, consapevole di non dover disperdere le energie dei suoi uomini in troppi ambiti e ritrovare la Trebisonda. Con umiltà.

Diversamente il 2020 sarà un altro anno di scuse, pasticci tra i piloti e occasioni perse.

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