Golf

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La storia del nessuno profeta in patria è datata e quasi banale, però fa sempre un certo effetto. Prendiamo Costantino Rocca: un mito per il mondo del golf europeo e mondiale soprattutto dopo quel colpo impossibile al British open di 17 anni fa - palla che parte da un vialetto, batte sull’asfalto e arriva a un passo dalla buca - che lo portò ai playoff contro John Daly. Un mito, Costantino, che purtroppo da noi passa un po’ in secondo piano. Eppure una giornata assieme a lui su un qualsiasi campo prestigioso del mondo è un continuo assalto per una foto, una pacca sulle spalle, un ricordo gridato. Del tipo «una volta hai battuto Tiger nella Ryder» oppure «nel 1996 ti ho aspettato alla buca 17 al Valderamma». Ecco, per gli stranieri, per i britannici soprattutto, questo è Costantino Rocca: per la sua classe e anche per la sua umanità, per il suo modo sempre pacato, gentile e sorridente. E per i giocatori italiani è come un fratello maggiore sempre pieno di consigli.
Costantino, le è piaciuto il Masters?
«Ovvio. Francamente pensavo vincesse Mickelson, alla fine mi sono appassionato per Bubba Watson, che gioca un po' come me, anche se la tira più lunga: non ha uno swing spettacolare, ma rende tanto. Si vede che non ha avuto molti allenatori e in questo ci somigliamo: ha lo spirito libero da dilettante».
Ma lei per chi ha fatto il tifo?
«Confesso: per Tiger. Ero sicuro riuscisse a vincere, però si vedeva che non sentiva lo swing. E questo ti manda in paranoia...».
Tornando a Bubba: come si vince un playoff?
«È come con i rigori nel calcio. Conta la positività, la calma, ma anche la fortuna. Oosthuizen mi piace molto, è regolare, bel tocco, swing stupendo, ha vinto poco per le qualità che ha. Forse ha giocato meglio di Bubba: ma il golf è così.
Parliamo degli italiani: i fratelli Molinari...
«Su Francesco avevo delle sensazioni positive, ad un certo punto lo vedevo fra i primi cinque. Senza quei bogey alla 17 e 18 ce l'avrebbe fatta. Se putta bene è da top 5, deve migliorare gli approcci quando esce dal bunker. Invece Edoardo è più estroso, ti aspetti sempre il colpo magico. Diciamo che nei prossimi anni Francesco guadagnerà più soldi, mentre Edoardo vincerà più tornei».
Mancava Manassero...
«Lui è un fuoriclasse vero. Ha la mentalità da campione, se sbaglia un colpo lo dimentica subito. Però attenzione, ha 19 anni, non carichiamolo di pressioni esagerate».
La sensazione è che agli italiani manchi un po' di aggressività.
«Forse è vero, però un Masters è difficile da gestire, guardate Tiger e Mickelson: hanno vinto tante volte, eppure si sono innervositi, facendo dei colpi assurdi, delle scelte folli».
Lei che è famoso per quel colpo al british: ha visto l'albatross di Oosthuizen?
«Come no: sono saltato dalla sedia. Io mi emoziono moltissimo per colpi del genere. Gli avrei detto: ragazzo mio, complimenti ma che fortuna...».
E a Tom Watson che ha praticamente vinto i playoff infilandosi tra i pini?
«Aaah: lui è fenomenale. Sa che ha lo stesso swing da trent’anni? Era ed è rimasto il mio idolo. I giovani devono ancora mangiare tanta polenta per colpire la palla come lui».
Rispetto ai suoi tempi oggi il livello è più alto?
«Si, decisamente. Oggi il numero cento può vincere, quando giocavo io c'erano una trentina di giocatori che lottavano per i titoli, il resto erano degli outsider permanenti».
E prima i giocatori erano meno atleti...
«Sa: non esistevano i fisioterapisti, ci allenavamo fai da te. Ora ognuno ha un suo team e i giovani di oggi sono palestrati. Ma attenzione: troppi muscoli a volte causano strappi. Difatti guardateli: giocano due tornei e poi stanno fermi due settimane. Io ne giocavo 40 all'anno».
Ma lei faceva palestra?
«Certo che sì: due settimane dopo Natale, per smaltire quanto mangiato nelle feste...».
Due settimane fa al Sicilian Open ha giocato con John Daly, che lo aveva battuto in quel playoff del ’95: ci pensa ancora?
«Tutte le volte che lo rivedo. E penso: "Guarda questo, mi ha impedito di diventare ricco...". Naturalmente scherzo: avevo giocato meglio io, ma ha vinto lui. Come Bubba contro Ooosthuizen. Però...».
Dica...
«... negli Stati Uniti e in Europa mi parlano tutti di quel colpo alla 18: per loro sono io il vincitore. Comunque sono stato anche sfortunato: al Masters avevo davanti Tiger, all’Open mi ha battuto John al playoff».
È rimasto in contatto con gli altri della sua generazione?
«Con alcuni si, gli spagnoli Quiros e Canizares, ma le distanze non aiutano. Sento spesso Sandy Lyle, Ian Woosnam, Berhard Langer, mi spiace non ci sia più Seve Ballesteros, uno che mi ha aiutato tanto e che ha cambiato il mondo del golf europeo. Lui inventava dei colpi come nessuno».
Di recente è stato eletto con un plebiscito presidente della PGA italiana: cosa si può fare per aumentare il numero dei giocatori?
«Non abbiamo sfruttato bene alcune situazioni, forse dobbiamo proporre il golf nelle scuole: su mille bambini troverai cinque che vorranno tirare due colpi, no? Ci sono Paesi dove giocare costa ancor di più che in Italia, ma hanno anche strutture dove poter provare gratis. Ecco, dobbiamo far si che i ragazzini si appassionino».
Magari poi si candida per la presidenza della federazione?
«Per carità: è un ruolo impegnativo, per ora non mi ci vedo. E poi io sono un uomo di campo, non un politico».
E sui green?
«Vorrei togliermi qualche altra soddisfazione sul Senior Tour e vincere qualche gara. Poi disegno e ristrutturo dei campi.

Di recente ho ultimato il restyling di Iles Borromées e stanno finendo i lavori al Golf Alcantara, a Taormina: aprirà a fine anno. Poi ho due progetti in Romania, già avviati».
Vive sempre ad Almenno San Bartolomeo?
«Certo. Vivo sulla collina e guardo il mondo dall'alto. È il posto più bello e tranquillo del mondo».

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