Se esci dalla porta della Juventus tra gli applausi (dei tifosi) ed entri nel portone dell'Inter accolto come la soluzione di tutti i mali, il tutto nello spazio di settantacinque giorni esatti, significa che sei riconosciuto come un fenomeno. Nel tuo campo. È il caso di Beppe Marotta che ieri si è insediato al comando di una squadra malata, scottata dalla bruciante eliminazione in Champions League. «Non sono il medico, voglio solo dare il mio contributo», ha detto il nuovo ad nerazzurro, orgoglioso perché «non ho scelto, ma sono stato scelto. L'ambizione della famiglia Zhang, di Suning mi ha sorpreso, vogliono ottenere grandi successi».
Esperienza, cultura del lavoro e senso di appartenenza sono le parole chiave. Il metodo Marotta è subito riconoscibile: difesa dell'allenatore, responsabilizzazione della società e ambizione. Il tutto scandito dalle note del basso profilo che hanno accompagnato tutta la sua carriera. «Io sono nato nel calcio, da ragazzino ero dirigente. Oggi inizia il mio quarantaduesimo», il biglietto da visita esibito dal nuovo ad dell'area sport dell'Inter. Il benvenuto di Steven Zhang è un'investitura: «È un cambiamento importante, Beppe è uno dei migliori». L'ad entra nel cda al posto del cinese Xu Tao.
Le prime parole di Marotta eloquenti nel mettersi alle spalle la Juventus: «Da oggi farò parte della grande Inter, per me è motivo di grande orgoglio». La Signora archiviata con un «inizia un nuovo capitolo dopo l'esperienza chiusasi». Ognuno libero di fare la sua interpretazione sul come sia finita a Torino.
Si riparte proprio da lì, dall'armata invincibile costruita con le proprie mani e adesso da combattere con le stesse mani. «Il gap si colma senza fare proclami», il monito a un ambiente che ha nel suo dna quella pazzia a trecentosessanta gradi che sa esaltare ma anche affondare.
Marotta ieri ha preso possesso della sua scrivania, oggi entrerà alla Pinetina, dove cenerà con la squadra. Lo accoglierà Luciano Spalletti, già accerchiato dai nomi dei sostituti: Antonio Conte, un altro ex juventino, Josè Mourinho e il Cholo Simeone. Il neo ad nerazzurro detta subito la linea: «È un ottimo allenatore, bisogna farlo lavorare tranquillamente e sta alla società supportarlo. Ha la fiducia del club». In pieno stile marottese, ma è ovvio che poi ogni discorso si farà in base ai risultati, sarà del campo l'ultima parola.
Marotta non ha voluto perdere tempo, un ingresso degno di una tackle deciso a centrocampo per dare una sterzata a società e squadra per guardare avanti. «Tutti i traguardi sono raggiungibili. Già con l'Udinese è importante per ritrovare quella stima che forse si è persa».
Quindi detta la mission: «L'Inter per la sua storia deve avere un ruolo apicale nel calcio europeo e diventare un club vincente». Nel giorno in cui la Cassazione chiude Calciopoli respingendo il ricorso della Juventus sull'assegnazione dello scudetto 2005-2006, inizia l'era Marotta all'Inter.
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