
Raggiungo al telefono Paolo Bonolis e mi dice che sta per imbarcarsi sul volo che lo porterà a Monaco di Baviera. Per nessun motivo al mondo si sarebbe perso la sua amata Inter che all'Allianz Arena si giocherà la finale di Champions League contro il PSG. Andrà con i suoi figli, i due maschi di casa. A Paolo scorre nelle vene il sangue nerazzurro e mi dice essere quella per l'Inter una passione che gli è stata trasmessa dal padre fin da bambino. Gli ho chiesto di raccontarci come è nato il suo amore per questa squadra.
«Mio padre, che era originario di Pero, è stato interista da sempre. Fin da piccolo ho visto con lui quelle poche cose che si riuscivano a vedere del calcio in televisione. E oggi che papà non c'è più, vedere l'Inter, è come stare un po' con lui».
Cosa rappresenta per te l'Inter?
«Principalmente una passione. Poi la condivisione di una speranza, di un'attesa, di una gioia, di una delusione. L'Inter è un'occasione di disimpegno nei confronti del resto della giornata. Un piccolo pensiero latente con il quale mi soddisfo, mi nutro, del quale soffro e gioisco».
Ti ricordi la prima volta che sei andato allo stadio a tifare Inter?
«Ero molto piccolo. L'Inter giocava a Napoli, al San Paolo, contro la Roma che aveva il campo squalificato. Ricordo che finí 3-3. In curva, con papà e con mio zio. Fu la mia prima trasferta. La prima volta che ho intravisto l'Inter da vicino».
Ti sarebbe piaciuto diventare un calciatore?
«Ho tentato da ragazzo ma evidentemente non avevo le caratteristiche adatte».
In che ruolo giocavi?
«Io ero esterno destro difensivo, correvo tantissimo. A detta di alcuni inutilmente (ride). Però ogni partita giocata sembrava l'epilogo di un'intera esistenza».
Sono quasi 15 anni che la coppa dei campioni è lontana dall'Italia. Perché?
«Perché c'è solo l'Inter che riesce a rappresentarla a dovere».
Mi dici con quale stato d'animo stai per imbarcarti sull'aereo per Monaco?
«Ricordo che due anni fa partii per Istanbul sempre con mio figlio, privo di qualunque tipo di speranza. Pensai, andiamo lì, ne prendiamo cinque, però faccio vedere a mio figlio una città bellissima. Poi invece abbiamo quasi rischiato di portarci a casa la partita e quella che sarebbe dovuta essere una normale sconfitta è stata una cocente delusione».
Questa volta invece?
«Andiamo con un margine di speranza in più».
Della grande Inter di Mazzola, cosa ti ricordi?
«Sandro è stato un giocatore fantastico, secco secco come la morte eppure velocissimo e sodo. Un po' come fu Altobelli. Magrissimo ma tutto nervi. Mazzola l'ho incontrato in una partita tra amici tanti anni fa. Lui era già parecchio anziano, io un po' più giovane ma ti assicuro che nonostante in campo non si muovesse era impossibile togliergli il pallone. Tra te e il pallone c'era sempre lui di schiena. Sembrava un carillon. O gli davi un pestone, che non si fa, oppure la palla rimaneva lì».
Dimmi la verità, quanto ti è bruciato aver perso lo scudetto all'ultima giornata?
«Beh, quest'anno siamo stati come due anni fa, in offerta speciale. Noi siamo una società generosa».
Spiegami meglio.
«Lo abbiamo regalato al Milan due anni fa, quest'anno lo abbiamo regalato al Napoli. Siamo altruisti».
Solo questione di generosità il secondo posto?
«Quando affronti tre competizioni così importanti devi avere una rosa molto più coperta. L'Inter lo era molto in difesa e a centrocampo. In attacco avevamo delle evidenti difficoltà. Ha pesato l'assenza di Lautaro nella prima fase della stagione e nella seconda parte, con l'infortunio di Thuram, abbiamo dovuto ricorrere a dei giocatori che avevano la maglia dell'Inter addosso, ma probabilmente non avevano le qualità e lo spirito per poterla indossare».
Se tu potessi entrare nello spogliatoio stasera prima della finale, che cosa diresti ai giocatori?
«Lo spogliatoio ritengo che sia il luogo più sacro di una sacrestia. Li guarderei negli occhi e gli direi: Divertitevi e fateci divertire».
Chi vedi come uomo decisivo per questa partita?
«Va bene chiunque. Anche il massaggiatore che incespicando colpisce la palla e va in rete, o l'arbitro che segna con il fischietto. Tornando seri, per il gioco di Simone, chiunque può essere letale. Lo abbiamo visto nella semifinale col Barcellona che è andato in rete Francesco Acerbi. Abbiamo visto segnare Pavard. Ecco,manca Sommer che segna di testa in contropiede. Sarebbe fantastico».
Chi è stata la figura nell'Inter che ti ha lasciato un segno indelebile.
«Di giocatori ce ne sono sicuramente tre o quattro. Ma la persona che ha amato di più in assoluto è stato Massimo Moratti».
Per te il più grande Presidente dell'Inter?
«Non so se sia stato il più grande presidente dell'Inter ad oggi, ma di sicuro è stato uno di quei presidenti che amava ciò che faceva non per interesse ma per passione».