"Libri contro la noia, quarantena come il ritiro"

L'ex portiere di Torino e Inter, 81 anni, tra virus e ricordi. "Un dolore l'addio al Toro. E su Italia-Germania 4-3..."

"Libri contro la noia, quarantena come il ritiro"

Anagrammando il nome Lido Vieri viene fuori «idoli veri». E gli idoli veri - o i veri idoli, fate voi - non temono certo il Coronavirus. L'81enne Vieri, uno tra i più forti portieri italiani di ogni tempo, da giovane ha parato di tutto, figuriamoci se ora non parava brillantemente anche il tiro insidioso di un tale Covid, famigerato «attaccante» straniero col numero 19 sulla maglietta.

«L'isolamento in casa mi pesa - racconta al Giornale - Amo il mare e stare all'aperto, ma le regole vanno rispettate nell'interesse generale. Per avere un po' più di libertà di movimento sono sceso in Calabria dove ho una casetta col giardino. Chiuso tra quattro pareti non ce l'avrei fatta a resistere...». Una notizia lo ha particolarmente addolorato, la morte dell'amico Gianni Mura: «Un gran signore e un gran giornalista. Ho saputo che fino all'ultimo giorno ha scritto i suoi articoli dal letto dell'ospedale. Mi sento vicino al dolore dei suoi cari».

Una segregazione domiciliare, quella che stanno vivendo gli italiani, noiosa quanto un ritiro punitivo: «Quando giocavo - ricorda Lido - i ritiri per me erano uno strazio: i compagni facevano partite a carte o a biliardo. Io preferivo leggere qualche buon libro. Ed è quello che ho fatto anche in questo periodo di fermo forzato». Una passione letteraria che Vieri condivide con l'altro suo grande amore: il mare. Del resto uno che si chiama Lido non può non nutrire un debole per le grandi distese d'acqua e avere gli occhi chiari della risacca. Lido Vieri è nato infatti a Piombino il 16 luglio 1939 e, se non fosse diventato un «principe della porta», sarebbe diventato il comandante di un barca col ponte guizzante di pesci. Che lui avrebbe abbrancato in mare. Il suo destino è stato invece afferrare palloni in cielo.

Campione europeo nel 1968 e vicecampione mondiale nel 1970 con la Nazionale («Ma in entrambi i casi ero solo il terzo portiere») Lido vive oggi felice nella sua Piombino, 81 anni fa. Lido dimostra 20 anni di meno ed è ancora gagliardo come il Santiago de «Il vecchio e il mare». Del resto anche quel cognome, Vieri, sembra fatto apposta per essere dispiegato come una vela al vento in un romanzo di Hemingway. Lido è stato tra i portieri-icona del Torino uno tra i più adorati. Figlio di genitori elbani di Portoferraio, inizia a giocare nel Venturina, a pochi chilometri da casa. Non ha ancora quindici anni quando, grazie all'intuizione del talent scout Alberto Lievore, Lido viene acquistato dal Toro. È il 1954. Ha come modello i portieri in stile kamikaze e lo si capisce dalla temerarietà delle sue uscite, dai voli plastici e dalla padronanza con cui domina la difesa. I legni della porta delimitano la sua tana, e guai a invadere il suo territorio. Nelle sue tre partite giocate in azzurro non ha mai incassato gol.

«In realtà - racconta Vieri - per molti anni ho giocato come se la mano destra avesse solo 4 dita. Mi ero infatti rotto il mignolo, ma non lo avevo mai ingessato. Mi avrebbe fatto perdere tempo e io non volevo perdere neppure una partita. Così, prima di scendere in campo mi legavo stretto il mignolo all'anulare. E giocavo. Quando sul dito arrivavano le pallonate erano dolori, ma sempre meno del dolore che avrei provato se fossi rimasto in panchina o in tribuna». Con i granata ha totalizzato in undici stagioni 357 presenze tra campionato e Coppe, record che lo colloca al quinto posto tra i giocatori del Toro più «presenzialisti» di ogni tempo. Lascia i granata nell'estate del 1969, destinazione la Milano interista. Non senza rimpianti: «Mi sarebbe piaciuto giocare con una sola maglia in carriera. Il Toro per me era tutto. Quando Pianelli mi cedette all'Inter, era convinto di avermi fatto un regalo. Invece mi misi a piangere, e dalla rabbia spaccai a pugni la porta dello spogliatoio». Sette stagioni trascorse a difendere la porta nerazzurra, dal 1969 al 1976, collezionando un totale di 199 presenze e la conquista dello scudetto nella stagione 1970/71. Tutto fila liscio. Vieri è amato dai tifosi è tenuto in palmo di mano dalla società. E, con Zoff e Albertosi, il numero uno nel suo ruolo. Ma alle sue spalle sta crescendo un giovane talentuoso, Ivano Bordon. L'Inter decide di puntare su di lui e mettere da parte il «vecchio» Lido che ormai ha 36 anni. Vieri capisce l'antifona e dà la sua disponibilità per fare il 12esimo a Bordon, ma la l'Inter risponde che anche così la sua presenza sarebbe stata troppo ingombrante: «Con uno come te alle spalle, lui non può crescere tranquillamente».

L'Inter però a questo punto gioca un po' sporco. Concede a Lido la «lista gratuita», ma lo fa quando ormai il mercato calciatori di serie A è chiuso e Vieri non può più trovare una squadra degna del suo blasone. E così, nell'estate del 1976, quella che vede i ragazzi di Radice laurearsi campioni d'Italia, ventisette anni dopo Superga, Vieri si accasa a Pistoia, in serie C. Gli arancioni gli offrirono lo stesso ingaggio che gli garantiva Fraizzoli. Torna al Toro sul finire degli anni '80, ricoprendo per quindici anni il ruolo di preparatore dei portieri della prima squadra granata. È lui a scoprire e lanciare Luca Marchegiani.

In rete c'è una vecchia intervista televisiva di Adriano De Zan all'indomani dell'amaro trasferimento alla Pistoiese: «Nel calcio la riconoscenza non esiste, quando non servi più sparisce anche l'affetto. E vieni mollato». «Ai miei tempi - ci racconta - i portieri si dividevano in due categorie: freddi e caldi. Freddi erano Yashin, Giuliano Sarti, Cudicini, Zoff. Caldi Moro, Ghezzi e Albertosi. Io ero caldissimo e mi sono preso le mie belle squalifiche. A me piaceva uscire dalla porta e bloccare il pallone, mi chiamavano pinza, lo stesso soprannome i Bodoira, il portiere del Torino che aveva preceduto il mitico Bacigalupo. Allora, a differenza di oggi, era buona regola che i palloni nell'area piccola fossero tutti del portiere. Noto che molti colleghi di oggi hanno invece la catena corta e tendono a respingere piuttosto che a bloccare». La sua vera squadra del cuore rimarrà sempre il Torino: «Ancora oggi se il Toro perde sto male. Quando fui ceduto all'Inter vincemmo uno scudetto in rimonta, ma mi sentivo in esilio».

Tanti gli aneddoti ai tempi del Mondiale in Messico: «Valcareggi insistette per portarmi lì, nonostante io non ne avessi voglia. Tanto da dire a «zio Ferruccio»: Hai già Albertosi e Zoff, che ci vengo a fare? Porta Pizzaballa, è uno tranquillo, magari gli fa anche piacere. Ma non ci fu verso di convincerlo». Per Lido furono giorni di noia, ingannata leggendo libri, tra cui - non a caso - «La noia» di Moravia. Non manca neppure una parentesi galante: «All'arrivo in Messico vidi una ragazza favolosa, bruna, che girava su una Mustang rossa. Occhiate reciproche, colpo di fulmine, m'invita a casa sua. Casa è dire poco, una specie di castello in mezzo a un immenso giardino, militari all'ingresso. Solo allora mi resi conto che era la figlia del vicepresidente del Messico. Si chiamava Graciela e disse che era troppo giovane per avere la patente, guidava senza. Fu bello tutto, e non dolorosa la partenza, sapevamo tutti e due quando sarebbe finita».

Inevitabile una testimonianza storica sul «mitico 4 a 3» con la Germania: «Io seguii l'incontro dalla tribuna presidenziale. A un certo punto tutti scommettevano, nei supplementari. C'erano sul tavolo mucchi di soldi alti così». Chi puntò sugli Azzurri vinse una fortuna.

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