Ciclismo

"L'Italia è senza talenti perché non gli diamo il tempo di crescere"

"Troppi soldi da giovani e poca voglia di sacrificarsi". Parla il manager di Eolo-Kometa, 2 volte vincitore del Giro

"L'Italia è senza talenti perché non gli diamo il tempo di crescere"

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Non vuole passare né per una Cassandra né per un Savonarola. Quello che Ivan Basso vuol ricordare è che noi italiani abbiamo fatto sì un grande ciclismo per tanti anni, ma nel frattempo il mondo è cambiato, si è allargato e allungato. L'epicentro non è più francoitalianospagnolobelga, ma è sloveno britannico e americano, australiano scandinavo e ora anche africano. «Stiamo vivendo un delicatissimo cambio generazionale ci spiega il due volte vincitore del Giro -, di nuovi Nibali all'orizzonte non se ne vede ancora la sagoma, ma se da un lato non dobbiamo pensare che tutto sia finito, allo stesso tempo dobbiamo fare in modo che quello che al momento abbiamo non finisca. C'è da lavorare con umiltà e senso di appartenenza. Ho scelto di lavorare con i giovani perché mi piace, perché ci credo e devo dire che la mia Eolo Kometa, all'ultimo Giro d'Italia, ha fatto la sua bella figura. Una vittoria di tappa con Davide Bais sul Gran Sasso, una presenza costante nelle fasi calde della corsa, diciamo che con un badget molto piccolo (4 milioni di euro, ndr) abbiamo lottato con squadroni che sono sei/sette volte più grandi di noi».

Valerio Piva, tecnico della belga Intermarché Circus Wanty, in una recente intervista alla «Gazzetta», ha detto che da noi si bruciano i talenti

«Ha spiegato che in Belgio i ragazzi si divertono. Là non esistono strutture dilettantistiche che ti pagano, ma ti danno servizi: una bici, una maglia e vai a correre. Ti offrono professionalità. Se paghi un ragazzo con un rimborso spese mensile di 2000 o 3000 euro è chiaro che tu ragazzo debba poi portare a casa risultati. Sei portato ad anticipare la tua crescita. Questo concetto va capovolto. Io ti do tutto ciò di cui hai bisogno per imparare il mestiere. Gli sponsor devono essere orgogliosi non di vincere corse, ma di crescere talenti».

E pensare che eravamo maestri

«Nel ciclismo ci vogliono passione e pazienza. Adesso tutti pensano che si debba fare come Pogacar o Evenepoel, ma queste sono eccezioni. Ci sono ragazzi che hanno bisogno di più tempo per maturare e quindi di percorsi diversi come il nostro o quello della famiglia Reverberi (Green Project Badiani Csf Faizané, ndr). Formazioni di seconda divisione, ma più strutturate e più forti, capaci di accompagnare la crescita di un atleta. Nibali da dilettante non è stato spremuto».

Cosa la spaventa?

«Quando vedo giovanissimi che per fare 3 km, prima si mettono a pedalare sui rulli: siamo alla follia. Vedere ragazzi della nuova generazione (al Giro Next Gen, ndr) che pedalano sullo Stelvio attaccati alla propria ammiraglia. Mi addolorano i ragazzi, mi fanno arrabbiare certi tecnici».

Cosa ci manca?

«La pazienza e un progetto. Poi i soldi».

Il prossimo anno il Tour de France partirà per la prima volta dall'Italia: da Firenze.

«E non avremo una squadra italiana. Ed è un vero peccato. Il ciclismo resta ancora uno sport credibile e efficace. Come ha scritto recentemente «Il Sole 24 Ore», la corsa rosa nel 2022 ha generato 218 milioni di euro di QI Media Value, di cui 80,5 milioni per i cosiddetti title partner, vale a dire lo sponsor che dà il nome alla squadra, grazie a 11.300 ore di esposizione, lo scorso anno al Giro, Eolo Kometa ha prodotto 11,5 milioni di QI media value, il 40% per il partner principale e il resto per gli altri brand. Insomma è un buon affare».

Suo figlio Santiago ha 17 anni e corre: è contento?

«Molto.

Perché impara a perdere».

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