Un mese ai Mondiali: tre favorite e tre outsider

Il 21 novembre la prima gara della rassegna iridata in Qatar: dall’Argentina di Messi al Senegal di Manè, ecco chi può stupire

Messi e Neymar, tra i protagonisti più attesi
Messi e Neymar, tra i protagonisti più attesi

Un mese esatto. È lo spazio che ci separa dal primo vagito di uno dei mondiali di calcio più surreali di sempre. Si gioca in Qatar, per idratare il sollazzo degli sceicchi. Dove c’erano cumuli di terra arida e rovente, ora sorgono cattedrali pallonare munite di ogni comfort. Il prezzo pagato per erigere siffatte oasi nel bel mezzo della desertificazione galoppante fa trasalire. Quasi settemila operai morti d’affanno e di omessa sicurezza, api sacrificabili di alveari improbabili. Un tappeto di anime che provenivano dal Pakistan e dal Bangladesh, oppure dal Nepal e dallo Sri Lanka. Oggi sono dei senza nome risucchiati dalle sabbie voraci del business. Qualcuno ha accennato tiepide proteste. Eric Cantona ha annunciato che saboterà la competizione. Ma lo sconcerto popolare è sfumato in fretta. Si gioca, ed è già assurdo così, prima ancora di iniziare.

In questa landa desolante che sta al calcio come gli italiani al porridge, noi non ci saremo. Boccone fetido e tutt’altro che deglutito, specie se contempli certe compagini che invece zavorreranno il torneo. Ad ogni modo cadremo certamente nell’illusione di massa. Pur con una punta di malcelato sdegno, ci sciropperemo senz’altro ogni match pensabile, da Galles contro Iran ad Australia–Tunisia. Potere ancestrale del calcio sui nostri tratti identitari. Riottosi ma non troppo, affonderemo le mani nei pop corn, giocheremo velleitarie schedine e accarezzeremo il sogno impossibile che quella cometa di Alley che esploderà solo durante la rassegna iridata venga nottetempo comprata a gennaio dalla squadra che amiamo.

LE NAZIONALI FAVORITE


Il Brasile di Neymar

Ogni volta che si inizia un discorso su chi potrebbe sollevare la coppa, si finisce sempre lì. Il Brasile è la favorita per editto divino e buonanotte agli altri sognatori. I verdeoro stanno ai mondiali come il Real Madrid alla Champions: certo, non c’è proporzione numerica, ma l’attitudine e il timore inferto ai contendenti hanno quel sapore lì. Neymar guida un gruppo che come sempre può affidarsi ad una masnada di assi. Dietro il blocco con Alisson, il sempiterno Thiago Silva e Gabriel distribuisce serenità, mentre in mezzo Casemiro e Fabinho assicurano lotta e governo. Il fronte offensivo è una samba da indigestione di analgesici: accanto ad O’Ney spuntano gli sprint del piccolo fenomeno dell’Arsenal Gabriel Martinelli, il pragmatismo di Vinicius, il mancino velenoso di Antony e lo sguardo da canaglia di Richarlison. Il Brasile siede sempre sul suo scranno, in attesa che gli altri si facciano avanti.

L’Argentina di Messi

Sarà l’ultimo mondiale per Leo Messi. La sua Argentina è una fuoriserie ammaccata, ma la pulce sa che questa è una porta scorrevole con il destino da attraversare con il tempismo giusto. L’Albiceleste di Scaloni punta forte anche su Lautaro Martinez e spera di recuperare Dybala, mentre gli scongiuri per i muscoli di cristallo di Di Maria sono un mantra obbligato. Non sembrano imperforabili dietro, dove comunque spicca la garra di Lisandro Martinez, ma dal centrocampo in avanti sanno come srotolare calcio di lignaggio superiore. In mezzo, tra gli altri, giostrano Paredes e la vecchia conoscenza De Paul, pronti ad armare un attacco scintillante. Sono praticamente cugini nostri, anche se più sfigati ai mondiali. Potremmo tifare per loro.

La Francia di Mbappè

Sul podio delle pretendenti si issano per ragioni di forza maggiore anche i campioni uscenti della Francia. Pure loro sono cugini, ma di quel grado che puntualmente tenti di scansare come la peste bubbonica a Natale. Non li tiferemo, ma sarebbe scorretto non ammettere che hanno tutti gli attributi giusti per arrivare in fondo. Davanti c’è il pallone d’oro Benzema, affiancato dal fenomenale Mbappè: una superiorità draconiana. In mezzo hanno perso Kantè, ma possono contare sul nuovo crack Tchouameni e sul rientro del redivivo Pogba. Sgasano sulle corsie con il milanista Theo Hernandez e Pavard. Statisticamente poco plausibile che possano vincere di nuovo loro. Comunque stanno lì, aggrappati coi denti allo scettro. Per tirarli via occorrerà strappare.

LE POSSIBILI OUTSIDER


La Serbia di Vlahovic

Dragan Stojkovic ha compiuto una mezza impresa piazzandosi in faccia a Cristiano Ronaldo e compagni nel girone di qualificazione. Ora la Serbia si prepara a stupire di nuovo, facendo leva su un gruppo che esprime un concentrato di qualità calcistica divampante. In attacco lo juventino Vlahovic è pronto a fare erompere una vena parzialmente anestetizzata in campionato, magari sfruttando gli assist di Kostic. Accanto a lui si staglia l’ingombrante sagoma di Mitrovic, uno che dopo aver crivellato la Championship un anno fa sta trangugiando senza affanni anche le porte della Premier. In mezzo giganteggia Milinkovic Savic, ai lati svapora Tadic, dietro comanda Milenkovic. Sopra ogni individualismo, la Serbia ha indovinato l’anima di gruppo. Particolare che rende complessa la materia del contendere per gli altri.

Il Senegal di Manè

I campioni d’Africa del Senegal potrebbero prendere tutti in contropiede. Impianto solido, palla che gira fluida da una parte all’altra del campo, agonismo imperterrito e alcune individualità di spessore totale: un mix che rischia di diventare indigesto per molti. Tra i pali c’è Mendy del Chelsea, fenomeno almeno fino ad una manciata di mesi fa. Davanti a lui il compagno di club Koulibaly, pronto a guidare i compagni nella chiusura di ogni pertugio. E poi Sadio Manè, l’astro più iridescente della compagnia. I leoni della Teranga sono tutt’altro che privi di incisivi: daranno loro il primo morso alla manifestazione, il 21 novembre, contro l’Olanda.

La Danimarca di Eriksen

C’è del calcio in Danimarca. Se ne sono accorti tutti da un pezzo ormai. La nazionale di Hjulmand ha concluso il girone con un bottino invidiabile: 30 gol fatti e soltanto 3 subiti. Compatti, abili a pressare in sincrono, letali quando si tratta di agire in contropiede.

A centrocampo il tessitore Eriksen, davanti i ruvidi ma efficaci Dolberg e Cornelius, in retroguardia Kjaer. Un preparato calcistico tutt’altro che burroso. Trent’anni dopo l’impensabile vittoria degli Europei da ripescati, i danesi promettono scintille.

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