di Giuseppe De Bellis
Il giorno in cui abbiamo rovinato tutto è arrivato. Eravamo partiti bene dopo la morte di Piermario Morosini: tutto giusto, tutto sentito, tutto umano. Il calcio che riscattava se stesso: campionati sospesi come fanno nei paesi civili, calciatori impegnati nellaiutare quel che resta della famiglia di Morosini. Una dignità collettiva che non si vede spesso dalle parti del pallone. Era una macchina che funzionava, poi ha sbandato. Sarà la voglia di fare troppo bene, sarà altro, sarà che a un certo punto cè sempre qualcuno che esagera: comunque, è successo. Il giro di campo del carro funebre a Livorno è un gesto sentito che fa leffetto opposto: amplifica ciò che fino a quel momento era stato confinato nei limiti della discrezione, spettacolarizza il rito del dolore di una famiglia che non aveva chiesto alcun clamore. Troppo affetto diventa troppo e basta. Un eccesso che sè trasferito nella sera di martedì a Bergamo, dove cerano persino i fumogeni ad accogliere il feretro nella zona dello stadio. È accaduta la stessa cosa con la morte di Marco Simoncelli: un lutto vissuto con emozione che sè trasformato in una esagerazione, in uno show. La differenza, non irrilevante, è che nel caso del Sic la famiglia ha alimentato la spettacolarizzazione, ha voluto le moto in chiesa, ha chiamato a raccolta le folle.
Nel caso di Morosini no. Ieri lha detto anche Don Luciano Manenti, il prete che oggi celebrerà i funerali: «Basta, basta, basta, ora lasciateci pregare con tranquillità. Anna ha chiesto di non essere né ripresa né intervistata, è stanca dellassedio delle televisioni e spero che domani in chiesa e fuori dalla chiesa ci sia la massima discrezione da parte degli organi di informazione». Stavolta, in sostanza, siamo noi a dover dare una risposta. La morte 2.0 è una nostra creatura dellultima ora. Non cè malafede, forse cè sempre quelleccesso di buonafede che inevitabilmente si trasforma in qualcosa di sbagliato. Il web ha intercettato questo malumore, ha capito prima che si stava andando dalla parte sbagliata. Abbiamo imboccato una curva e abbiamo perso il controllo: quando era arrivato il momento di fermarsi, abbiamo continuato. E allora troppa retorica e troppo buonismo e troppo tutto.
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