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"Nel deserto della Dakar con una monetina ho scoperto la saggezza"

Il n°1 Fia è tornato dopo 30 anni dove iniziò la sua avventura. "Lanciai e scelsi il vincitore. Lo rifarei"

"Nel deserto della Dakar con una monetina ho scoperto la saggezza"

Gedda. Erano trent'anni esatti che Jean Todt non tornava alla Dakar. L'ultima volta era stato nel 1991, quando si correva ancora in Africa. A fianco del direttore del rally David Castera, il presidente della Fia ha sorvolato in elicottero la corsa, come faceva Thierry Sabine, il carismatico ideatore del rally. «Mi sono emozionato a vedere tanta bellezza e tanta fatica. Ammiro i motociclisti, sono i grandi eroi di questa straordinaria avventura», racconta ai concorrenti radunati attorno al fuoco in occasione del tradizionale briefing serale al bivacco di Yanbu, in Arabia Saudita. Scroscia un caloroso applauso all'uomo nei cui occhi è passato quasi mezzo secolo di corse, vincendo tutto: dalla Paris-Dakar come direttore della Peugeot Sport alla Formula 1, artefice del ritorno della Ferrari al successo con Michael Schumacher. Oggi, nella sua ultima sfida professionale da presidente della Federazione Internazionale dell'Automobile, oltre che di sport, si occupa di mobilità e di sicurezza, un tema di drammatica attualità purtroppo anche alla Dakar, che l'altro ieri ha vissuto il dramma della morte del motociclista Pierre Cherpin (durante l'intervista con Todt, il centauro era in volo per la Francia per essere operato dopo l'incidente, ndr).

La sua presenza al bivacco è un segnale incoraggiante circa il futuro della corsa.

«La Dakar mi ha dato tanto. Ripenso a Jean Claude Bertrand, patron del rally Abidjan-Nice, che ha ispirato Thierry Sabine, ma anche all'incidente fatale di 35 anni fa che portò Gilbert Sabine alla guida del rally, per continuare l'operato del figlio. Io arrivai in quel momento. Oggi sono colpito dalla professionalità dell'organizzazione, dal livello dei team, dalla strumentazione di navigazione alla sicurezza. Grazie alla tecnologia i mezzi sono seguiti metro dopo metro, ai miei tempi, invece, vedevamo partire i nostri piloti senza sapere quando li avremmo rivisti. Si vince o si perde per 15 minuti, mentre noi ragionavamo su distacchi di 4,5 anche 6 ore. Qualche volte i piloti arrivavano alle 4 del mattino per ripartire alle 7».

Cosa ha significato il suo inizio da rallista per la sua carriera?

«Ho esplorato il mondo grazie alle corse come la Parigi- Mosca-Pechino o la Vuelta Americana del Sud: 30.000 km, 10 paesi in 30 giorni. Adoro i rally perché in queste corse non conta solo la velocità, ma anche la strategia, l'endurance e l'avventura».

E poi i successi alla direzione di Peugeot. La Paris-Dakar 1989 è passata alla storia come l'edizione della monetina lanciata per decidere il nome del vincitore tra Ari Vatanen e Jacky Ickx.

«È stato un momento di saggezza. In una situazione simile, oggi farei ancora la stessa cosa, solo che comunicherei in modo diverso. A un certo punto si è resa necessaria la decisione di un patron che mettesse fine alla rivalità tra i due piloti in favore della squadra».

Cosa è rimasto dello spirito originario della Dakar?

«Resta il fascino dell'ignoto e della sfida. Questo sport ricorda quanto sia fragile l'essere umano nei confronti delle forze della natura. Il deserto stesso lo ricorda. E infine partecipare a un sogno. Al-Attiyah mi raccontava di essersi innamorato di questa corsa quando l'ha vista passare nel 2005 mentre si esercitava nel tiro a volo in Mauritania».

Come vede oggi la Dakar?

«È una gara combattuta, dura, ma anche attenta alla sicurezza. Quest'anno, per esempio, è stato introdotto l'airbag per i motociclisti. La competizione è un laboratorio dell'estremo. Lo abbiamo visto in F1 con l'incidente di Grosjean. Solo qualche anno fa, in una situazione simile il pilota sarebbe stato decapitato. Il prossimo passo è rappresentato dalle energie rinnovabili, l'elettrico e l'idrogeno».

Come valuta la corsa di Peterhansel, re del deserto?

«È un pilota straordinario che ha vinto in moto e in auto. È stata una lotta interessante con altrettanti straordinari piloti come Al-Attiyah e Carlos Sainz. I tre hanno tra i 50 e i 58 anni e si sfidano ai massimi livelli».

Si parla molto di creare un Campionato del Mondo Fia Rally Raid.

«Esiste una Coppa Fia Rally Raid e stiamo parlando con Aso per verificare la possibilità di condividere dei progetti. La mia presenza testimonia la volontà di fare qualcosa insieme».

Guardando al 2021 e alla Formula 1, Imola è tornata nel calendario.

«L'Italia ha fatto un lavoro straordinario in un anno complicato come il 2020 con tre Gp di F1, Monza, Mugello e Imola, e due rally, Sardegna e Monza».

Infine come vede la nuova giovane coppia della Ferrari con Leclerc-Sainz?

«Sono due grandi piloti.

Ma nelle corse contano l'uomo e la macchina, quindi spero che possano guidare una vettura competitiva».

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