Ma nessuno sarà meglio di Sivori e Maradona

di Tony Damascelli
G ianni Brera aveva ragione: gli argentini sono italiani che parlano bene lo spagnolo ma credono di essere inglesi. L'ego è quel po' di argentino che c'è in tutti noi. Basta ascoltarli, basta osservare alcune posture e la loro lenta, maligna e ambigua pronunzia nella quale cascano, come ebeti, alcuni italianuzzi di borgata che dicono "demicelis" saltando l'acca, come usano gli argentini appunto, o "biglia" per "villa",o, adesso, “bighlia” per il laziale biglia, o ancora "bergoghlio" per il Francesco papa, e altre facezie, senza dimenticare qualche soldato giapponese ancora in trincea che pronuncia Chuan Mànuel Fanchio, ovviamente trattasi di Fangio.
Per fortuna nel calcio italiano dei bei tempi gli artisti che venivano da Baires e dintorni tenevano tutti o quasi cognomi nostrani, eredità di emigranti alla ricerca del pane perduto. Sivori e Conti portavano i calzettoni arrotolati sulle caviglie per sfidare l'avversario che, prima di dare una botta, vedendo tibia e perone ignudi e anche gracili, prendeva tempo, il giusto perché Omar o Raùl lo infilassero in perfido tunnel. Dicesi che gli argentini siano malinconici nel dire e nel fare perché si gonfiano di asado e le carni appesantiscono i loro fegati. Altri sostengono che una volta superato l'oceano sentano nostalgia della terra antica e dunque di riflesso si adagino nella "tristeza". Al di là delle poesie e dei romanzi gli argentini hanno sempre goduto, forse più dei brasiliani che non hanno parentado così stretto con noi, di una fama particolare, che siano tanghisti, amanti, femmine di lusso e lussuria, cantanti con uno stelo di rosa rossa tra i denti, guerriglieri, eroi. Maradona resta, con Sivori, il principe di tutto il regno. Rispetto al suo compatriota juventino non è mai stato un provocatore maligno sul campo di pallone. Di Sivori ha un buon ricordo Enrique Perez Diaz noto come Pachin, terzino del Real Madrid che osò insultare il numero 10 bianconero così: «Hombre, te falta la pluma por parecer un indio», amico ti manca la piuma per sembrare un indiano. Sivori replicò da indiano metropolitano con una cabezonata storica che fece giacere in barella lo spagnolito. Di questa risma era Daniel Passarella, el capitan che scalciava i raccattapalle, di altra stoffa Gabriel Batistuta che al massimo baciava l'obiettivo della telecamera urlando "Irina te amo".
La nouvelle vague ha offerto Ezequiel Lavezzi e Milito, Samuel, Veron e Crespo, Zanetti e Cambiasso, Tevez, Higuain, tutta roba buona ma non del livello di cui sopra. Per gli amanti del sadismo segnalo Rambert e Trotta, Zarate (Ancona) e Bartelt, roba da Chi l'ha visto? Eppure il made in Argentina continua ad avere il suo perché.

I nostri talent's scout corrono laggiù perché sanno di trovare le pepite per la propria squadra e le pupe per la propria noche, l'Argentina è terra di esplorazione, si raccoglie senza sapere bene ma fidandosi del profumo. Se trattasi di Rodriguez Belen è ancora meglio.

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