Quando Chilavert spiazzò Higuita: l'inizio di una leggenda da 64 gol

Il 27 agosto 1989 la prima rete del portiere goleador: penalty, punizioni e non soltanto, Josè segnava in tutti i modi

Chilavert esulta dopo un gol
Chilavert esulta dopo un gol
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All'inizio le mani sono piccole e servono per mungere le mucche. Luque, dimenticabile sobborgo rurale alle porte di Asunción, non è certo il giardino in cui diresti che si possano coltivare ambizioni. Il latte, poi, il piccolo Josè Luìs - che di cognome fa Chilavert - lo porta in due recipienti traboccanti fino agli avamposti della civiltà. Avanza senza indugio sotto il cocente sole paraguagio, di consegna in consegna. L'entusiasmo si intiepidisce quando si accorge di quanto raggranella: monetine di bronzo che bastano appena ad appiccicare il pranzo con la cena. Per il primo paio di scarpe deve aspettare di compiere i 7 anni. La povertà è una compagna fetida. Rattrappisce gli istinti migliori e buca le anime buone, incattivendole. Lui non si fa piegare, ma di sicuro ne esce indurito.

Si gioca scalzi. Essendo il più piccolo, gli altri ragazzi del paese lo infilano in porta. Sapete cosa succede, perché ci siamo passati tutti: il virgulto tra i pali, nel migliore dei casi, viene crivellato di pallonate. Lui però para anche i granelli che si sollevano insidiosi dal terreno asciutto, che implora di dissetarsi. Inoltre imposta da dietro, telecomandando il gioco con quel piede mancino che pare propaggine di un'anima in cerca di riscatto. I compagnucci sono esterefatti. Gli osservatori iniziano a fare la fila. Lo Sportivo Luqueno, club cittadino, lo inserisce nel circuito delle giovanili. Qui inizia a srotolarsi la vicenda di quel portiere che è già un gigante - un metro e novanta per novanta chili a soli quindici anni - e che, raccontano gli spifferi, ha ricevuto in dote un piede da semidivinità. Di limitarsi a passare la palla, quindi, non se ne parla. Evitare di usarlo per calciare a rete sarebbe uno spreco disumano. Josè lo sa e sfrega questa ambizione con pazienza.

Con questo prodigioso arto Chilavert si iscriverà di diritto nel salotto buono frequentato dai recordman. Le sue parate, per quanto efficaci, vengono dopo le caterve di gol che lo issano verso la gloria imperitura: a fine carriera ne segnerà 64, cinquantaquattro dei quali nei club e otto in nazionale. Quarantacinque su rigore. Quindici su punizione, la specialità della casa. Due su azione. Ogni cosa possiede un incipit: il suo è inciso in una data, 27 agosto 1989. A due passi da casa, dentro il Defensores del Chaco, si gioca una partita cruciale per strappare la qualificazione a Italia '90. Il Paraguay attende la Colombia e in porta, ovviamente, c'è Josè. I padroni di casa la mettono sulla consueta garra, ma i Cafeteros sanno come essere ospiti indigesti. L'equilibrio è sovrano e sembra che la gara si incanali verso un insignificante 1 a 1.

Sembra, perché nel finale l'arbitro fischia un penalty per l'Albirroja. A causarlo è stato un altro estremo difensore per nulla introverso. Uno che per dribblare la noia ha riscritto il modo di parare: il colpo dello scorpione al posto della banalità del blocco è un racconto per immagini che assolve alla funzione richiesta. Illustra la follia meglio delle parole. L'eccentrico tizio - una nuvola di riccioli scuri a coronare una testa ineffabile - si chiama René Higuita. Chilavert l'ha scrutato da lontano per tutto il tempo, per borseggiare pensieri e movimenti. Adesso, mentre trotterella con quel passo cadenzato verso di lui, Josè dischiude un sorriso. Il pubblico va in apnea. Il momento di far vedere cosa è capace di inventarsi quel sinistro è qui ed ora. Sul dischetto ci va lui. Qualcun altro inizierebbe a vibrare come una foglia. Lui no. Inspira forte. Contempla Higuita, stavolta da vicino. Poi lo spiazza, con la serenità di un veterano.


Non servirà a nulla perché al Mondiale ci andrà comunque la Colombia, ma la storia personale di

Josè Luis Chilavert comincia qui. Qualche volta nascere senza i favori del pronostico anestetizza la paura ed incrina i dogmi. Un portiere sognante e dunque segnante: si può fare. Sessantaquattro volte sì.

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