Rod Laver e gli 80 anni di Mister Slam Gli resta un solo sfizio: sfidare Federer

È ancora l'unico ad aver vinto due volte i quattro Major nello stesso anno

di Roberto Perrone

S e fosse un ciclista, un grande chansonnier canterebbe che ha un naso triste come una salita, scorticato dal sole della California dove da anni si è trasferito. E aggiungerebbe che è un australiano allegro. A 80 anni, che festeggia oggi, sotto il segno del Leone, un giorno dopo il campione moderno che tutti gli accostiamo, Roger Federer, il suo avvenire non è ancora dietro le spalle. Perché quelli che segnano uno sport non vanno mai in pensione. Invecchiano magari. Rodney George Laver scende ancora senza paura a rete nella vita, con l'apparecchio acustico e le ingiurie degli anni, un ictus, l'artrite e soprattutto la scomparsa dell'amata moglie Mary, che gli diede, tre settimane dopo il secondo Slam, l'unico figlio Rick. «Invecchio a vista d'occhio, sono superato dagli eventi ma felice di essere vivo», ha detto a Gaia Piccardi del Corriere della Sera.

L'uomo Slam, Rod the Rocket, viene dal Queensland. Rockhampton è una delle più vecchie città australiane, classe 1858. Terra fertile, ricca. E infatti il padre Roy era mandriano, macellaio. E tennista. Tutti giocavano nella sua famiglia sterminata, zii, cugini, genitori, fratelli. Ma a Melbourne c'è una sola Rod Laver Arena. La sua è quasi una storia biblica. Dei Laver era il più piccolo, il più gracile, il più curvo. Secondo le leggende i bambini Laver giocavano in continuazione, pasti esclusi che i genitori preparavano a turno, perché, mentre uno cucinava, l'altro allenava i ragazzi.

Eppure è stato lui a conquistare undici titoli Major, 5 Coppe Davis ma soprattutto due Slam (62 e 69), cioè il giro del mondo dei quattro maggiori tornei in un anno solare. Prima di lui solo Don Budge (1938), dopo di lui nessuno. Andre Agassi, Roger Federer e Rafa Nadal li hanno vinti tutti, sì, ma in anni diversi. Lui due volte nello stesso anno. Citando una celebre battuta dell'avvocato Peppino Prisco: una gratis e una a pagamento, anche se parliamo di cifre molto distanti da quelle di oggi. Il primo successo da dilettante nel 1962, con i complimenti della Regina che lo premiò sul Centre Court di Wimbledon, il secondo giro nel 1969, da professionista.

All'inizio della sua carriera, come in quella di altri grandi tennisti, ad esempio Pete Sampras, c'è un allenatore che lo forza per estrargli il talento nascosto. Charlie Hollis gli intimò di non battere gli avversari, ma di schiacciarli. Punta al 6-0, 6-0. Fu un modo per estorcergli il carattere, al resto aveva provveduto Iddio. Il leggendario capitano di coppa Davis Harry Hopman continuò lo svezzamento e gli affibbiò il soprannome: Rocket, più che per la velocità, proprio per la determinazione. Fu numero 1 tra i dilettanti e tra i professionisti, nel cui circuito entrò nel 1963. Denaro contro palmarès. Rod scelse il primo. «Senza rimpianti, mi sono goduto ogni secondo» la risposta d'anticipo a chi tenta di contabilizzare tutti i major che non può mettere nel curriculum.

Ma è questa la sua forza, l'adattabilità. The Rocket si è incollato alla vita come alle diverse superfici e a tutti i colpi. Con quel polso mancino snodabile ha irretito i rivali dell'epoca e ha condizionato i suoi discendenti. Da Connors a McEnroe, da Federer a Nadal, tutti gli devono qualcosa.

Anche se Rod Laver, scherzando, sostiene che cominciò a giocare al volo «perché le superfici, allora, erano terribili ed era meglio non far toccare terra alla pallina». Si è tolto tutti gli sfizi tranne uno. Sfidare Federer con età e armi, una racchetta di legno, pari. In un'altra vita.

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