«Grazie per avermi lasciato vincere almeno una volta». Già, e adesso cosa manca? La vittoria di Jannik Sinner a Pechino, il nono torneo di una carriera folgorante a soli 22 anni, la prima vittoria contro Daniil Medvedev - il numero 3 del ranking - alla settima sfida, è qualcosa di più di un passo avanti. È la consacrazione. Eppure il 7-6, 7-6 di questa strana finale giocata di mercoledì, complice un calendario che ha riportato il tennis in Cina condensando il tutto in un frullatore, dà anche la consapevolezza che c'è ancora qualcosa da fare, per essere il Sinner che anche Jannik si aspetta di essere: «Devo ringraziare Daniil per avermi reso un giocatore migliore anche in allenamento. E grazie al mio team, anche a chi non è presente qui. Questo è un titolo che significa molto per me: ci siamo allenati tantissimo, avevamo molte aspettative. Essere il numero 4 del mondo per me non è così importante: la cosa che conta è che c'è ancora tanto lavoro da fare per migliorare». E allora, di nuovo, che cosa manca? Paradossalmente due set, quelli che separano un campione dall'immortalità, ovvero la vittoria in uno di quei quattro tornei che restano per sempre. E in questo Alcaraz, che ha già vinto due Slam e ha due anni di meno, si è dimostrato più pronto. Finora. Questione di fisico, sicuro, ma anche di testa. Quando Jannik quest'anno ha perso a Parigi contro Altmaier, da favorito insomma, ha capito che c'è ancora qualcosa che non quadra nelle partite che arrivano al quinto set. «Questa fa male», reagì allora, ma pur tornando a lavorare non ha trovato subito la quadra: a Wimbledon è arrivato sì in semifinale, ma è stato strapazzato (troppo) da Novak Djokovic quando pensava di essere molto più competitivo; a New York, negli ottavi di finale, ha lottato e perso con Zverev, e non pensava fosse possibile: «Fa ancora male, ma siamo sulla strada giusta». Adesso però tutto può cambiare, e quello che sta succedendo gli ha dato ragione.
E allora: battuto Alcaraz, battuto Medvedev, ora si riparte dal Master 1000 di Shanghai affrontando il vincente di Giron-Galan, ma soprattutto si torna subito ad allenarsi, come programma a lungo temine per aggiungere chili e sangue freddo, per evitare che la fatica mentale e fisica (che spesso si è trasformata in un problema di crampi) diventi il vero nemico.
A quel punto, dopo le Atp Finals e (già) le finali di Coppa Davis («proverò ad esserci»), quei 2 set in più non faranno più paura e gli Slam diventeranno finalmente un obbiettivo possibile. Dice il suo coach Simone Vagnozzi: «Jannik non è neanche lontanamente un progetto finito». Gli avversari prendano nota: appuntamento a Melbourne.
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