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"In stanza con Tardelli stressati dal Mundial"

Intervista a Franco Selvaggi, il "Ragazzo di Basilicata": "Bearzot mi stimava ma nell'82 giocare al posto di Pablito fu impossibile"

"In stanza con Tardelli stressati dal Mundial"

Predestinato. Era solo un bambino Franco Selvaggi, ma già giocava a «San Siro». Così era chiamato infatti il campetto, tutto polvere e pietre, dove lui e i suoi compagni si sfidavano «ininterrottamente dalla mattina alla sera». Come questo «ragazzo di Basilicata», oggi 69enne, si sia trasformato da baby campione del suo paesino materano (Pomarico, anni '50) in maxi campione del Mondo (Spagna, anno di grazia 1982) è una favola che riconcilia il mondo del calcio all'universo dei sentimenti. Raccontarla scalda l'anima col fuoco di un'impresa che - al netto della melassa celebrativa dei giorni scorsi - ci fece sentire fratelli (d'Italia) di quei 22 apostoli azzurri. Senza Giuda. Ma in un Paese tradito dallo stragismo degli anni di piombo e della guerra fredda, dall'attentato a Papa Wojtyla e dalla storiaccia del totonero. Selvaggi (alias «Spadino» per il suo mix perfetto di tecnica e velocità) non scese in campo neppure un minuto, ma a suo modo fu determinante.

Cominciamo da Bearzot. Criticatissimo dai tromboni» del giornalismo, allineati e coperti nel suonarle al «Vecio», reo di aver convocato lei e al posto di Pruzzo. Come andò?

«Ero reduce da una serie di ottimi campionati e Bearzot mi seguiva con regolarità dall'81. Alla vigilia della spedizione spagnola, mandò gli osservatori a vedermi nella Under 21. Segnai due gol disputando una delle partite migliori. Mi disse: Franco, tieniti pronto».

Fu di parola.

«Nella sua visione, Altobelli era il sostituto ideale di Graziani; io ero tecnicamente l'alter ego di Rossi».

Ha «sofferto» più in panchina o in camera con Tardelli?

«Condividere per ore e ore la stanza con Marco è stato un piacere».

Perché vi misero vicini di camera?

«Soffrivamo entrambi di insonnia. Cercavamo di tranquillizzarci a vicenda. Lo stress ci divorava, lui in più in quanto titolare sentiva maggiorente l'ansia pre-partita: era come un palo dell'alta tensione, a toccarlo c'era il rischio di rimanere fulminati».

Siete rimasti amici.

«Grandi amici. Con tutti i compagna di squadra del Mundial 82 abbiamo una chat. È lì che abbiamo appreso della morte di Rossi».

Pablito, icona di un mondiale cominciato così così...

«All'inizio Rossi sembrava bloccato. Come del resto tutta la squadra. Passammo il turno a fatica. I media ci attaccarono impietosamente. Fu allora che stringemmo un patto d'onore per dimostrare che avevano torto marcio».

Sua moglie era venuta in Spagna, dovette strappare il biglietto di ritorno che aveva fatto in anticipo...

«Dovevamo giocare contro Argentina e Brasile. Lei era incinta della nostra secondogenita Claudia. Le dissi: Prenota il rientro...».

Invece...

«Avvenne il miracolo. Sa cosa mi dice spesso mia figlia Claudia?».

Cosa?

«In quei giorni ero nella pancia di mamma, ma è come se avessi respirato l'euforia di quell'avventura. Una gioia che a non mi ha più abbandonato, portandomi fortuna. Bello, no?».

Bellissimo. Tuttavia non mancarono situazioni sgradevoli, come quel venticello calunnioso attorno all'assurda liason tra Cabrini e Rossi.

«Una sciocchezza tragicomica, che oggi fa ridere. Ma allora ci indispettì parecchio».

Tanto da portarvi al famoso silenzio-stampa.

«Fu utile per cementare un gruppo che la filosofia Bearzot aveva reso invulnerabile tanto sul piano tecnico quanto su quello psicologico».

Quando Cabrini sbagliò il rigore in finale contro la Germania, cosa diceste in panchina?

«Cabrini è ragazzo sensibile. Ci guardammo e urlammo ad Antonio: Tranquillo, questo Mondiale lo vinciamo!».

Avvenne davvero. Come festeggiaste a Madrid?

«Balli, cori e bevute nel nostro hotel a Madrid. Ma ci fu chi, anche in quell'occasione, riuscì a mantenere un contegno esemplare».

I nomi?

«Scirea e Zoff».

Cosa fecero?

«A mezzanotte in punto salirono in camera. Allora io, Conti e Tardelli andammo a spiarli. Sa come li trovammo?»

Come?

«Leggevano un libro. E valigia per la partenza del giorno dopo era già pronta. Professionisti al cento per cento».

Ha indossato le maglie di tanti club, qual è il compagno di squadra più forte con cui ha giocato?

«Zico nell'Udinese e Rummenigge nell'Inter. Senza dimenticare Iacovone nel Taranto».

Due idoli di gioventù?

«Gianni Rivera, che era anche il nome della mia prima squadra d'infanzia, e Gigi Riva che mi volle a ogni costo al Cagliari arrivando perfino a minacciare le dimissioni se la società sarda non mi avesse preso».

Lei gestisce con suo figlio una scuola calcio. Come sono i ragazzi di oggi?

«Molto diversi dal Franco Selvaggi bambino. Oggi non si gioca più nelle strade con due pietre a fare da pali. Se non fosse per le scuole-calcio, questo sport non verrebbe più praticato».

Il primo regalo legato al football d'infanzia?

«Un pallone è una maglietta rossa. Li vinsi a una gara di palleggi organizzata in paese. Dopo mezzora che la palla non toccava terra, la giuria mi pregò di smettere...».

E dopo cosa accadde?

«L'ex campione del mondo del 1938, Michele Andreolo, che aveva sposato una ragazza di Potenza e viveva nel mio paese, mi accompagnò al primo provino importante.

Mai potevo immaginare che un giorno anche io, come lui, avrei vinto un mondiale di calcio».

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