nostro inviato a Lecce
«Il Lecce ha ceduto i giocatori esperti per sostituirli con giovani di talento. Ma la A è bella tosta, staremo a vedere. Finora il calciomercato lo ha fatto Sant'Oronzo...». La sintesi più efficace è quella del tassista che dalla stazione ferroviaria ti porta nel centro storico.
In Piazza Sant'Oronzo, la più venerata in quanto «monopolio» del patrono cittadino, resistono ancora due bandiere giallorosse testimoni sventolanti della festa del 6 maggio seguita all'1 a 0 contro il Pordenone che ha sancito la promozione dei salentini. Un «ascensore» dal moto perpetuo che nei decenni ha fatto su e giù tra il super attico della serie A, l'appartamento dignitoso del piano B e la casa-portineria della serie C. Ma la tifoseria non ha mai sparato al suo cavallo da corsa, neppure quando si è azzoppato al «Palio della Sfiga» tra crack finanziari, controversi passaggi di mano e spareggi maledetti. Il purosangue si è rialzato e con le cure giuste ha ripreso a sfrecciare alla grande. Merito dell'allenatore-fantino Marco Baroni, del proprietario della scuderia, Saverio Sticchi Damiani, e dei tanti scommettitori (leggasi tifosi) che in casa e in trasferta hanno sempre puntato fior di soldoni (sentimentali) sulla vittoria della loro creatura. La galoppata che ha portato il Lecce in A è stata entusiasmante, e alla fine il traguardo è stato tagliato tra la rassegnazione degli avversari che, pur scattanti, hanno dovuto inghiottire polvere e sabbia: le uniche cose che i gladiatori di Via del Mare lasciavano alle spalle.
«Sono tanti i numeri da ricordare nella stagione appena trascorsa - si legge sul sito della società -: miglior difesa, migliore differenza reti, minor numero di sconfitte». Altro dato che la dice lunga sulla maturità etica del club salentino: «Zero espulsioni subite nell'arco dell'intero torneo».
Circumnavigando la statua di Sant'Oronzo, plurirestaurata (come l'asset finanziario dell'US Lecce), si arriva da un lato in Piazza Mazzini e dall'altro in Duomo. È la zona dello «struscio» (termine obsoleto da vecchi pensionati) o della «movida» (termine moderno da giovani spritzati). Qui si fa anche molto shopping. Ma in questi giorni la compravendita che tira di più è quella dei calciatori del Lecce, almeno ad orecchiare i focosi conciliaboli ultrà del Caffè Barocco, sito - per contrappasso toponomastico - in Via Taranto (ma il Taranto giocando in serie C non è percepito come antagonista degno di considerazione). Idem per il Foggia (pure lui in C), ma non per il Bari (meritatamente promosso quest'anno in B) che i leccesi degnano almeno di uno sfottò: «Il derby? Arrivino in A, che poi ne riparliamo...». Anche se poi, a sentire gli esperti di statistiche campaniliste, i leccesi non è che possano tanto fare gli smargiassi: «All'attivo del Bari ci sono infatti ben 30 campionati di A contro i 17 dei leccesi». Ma il campanilismo, a differenza della matematica, «è» un'opinione. Quindi, via libera alla presa per i fondelli. E così sia.
Certo, poi in serie A bisogna rimanerci. E, in «quest'ottica», i campioni non sono proprio un aspetto marginale. Allora ecco che tornano preziosi i commenti degli analisti del Caffè Barocco, tanto più che finora a risultare altrettanto barocca (a Lecce tutto è barocco) è stata proprio la campagna acquisti del Lecce, glorioso sodalizio fondato nel 1908 col nome di Sporting Club Lecce e indossando una maglia a strisce bianconere (absit iniura verbo). Al tavolo del bar abbiamo la fortuna di incontrare il signor Vincenzo che sulla «scabrosa» vicenda della «maglia bianconera» tiene a precisare quanto segue: «Avendo scritto un libro sull'epopea del Lecce, posso assicurare che nel 1929 a seguito della fusione tra club locali salentini nacque l'Unione Sportiva Lecce che adottò per l'occasione la caratteristica maglia gialla e rossa in occasione della promozione in A».
Ok, signor Vincenzo, tutto interessantissimo (anche se forse un po' datato), ma venendo ai giorni nostri ha qualche dritta? Vincenzo è ferratissimo pure sull'attualità: «Pantaleo Corvino e Stefano Trinchera sono i nostri maghi del calciomercato. Alla fine metteranno su una squadra per una salvezza sicura». «Ma quale sicura - ribatte un compagno di merenda (che qui si fa rigorosamente con il panzerotto ripieno di mozzarella e pomodoro) -, la verità è che abbiamo perso completamente l'ossatura della formazione dello scorso campionato. Era un meccanismo collaudato, basta fare qualche inserimento di qualità. E invece hanno lasciato andare i migliori. Sono arrivati dei giovani interessanti, ma ci vuole ben altro. Ricostruire dalle macerie complica le cose».
Tra i tanti addii che hanno lasciato il segno, quello del portiere Gabriel. Da queste parti gli «estremi difensori» hanno una grande tradizione e la piazza è abituata al meglio. Il mese scorso, ad esempio, a più di qualche, attempato, tifoso è venuta giù una lacrimuccia venendo a sapere della morte del mitico Emerich Tarabocchia, un numero da leggenda che negli anni '70 in un Lecce ancora in B collezionò il fantasmagorico record di 1.719 minuti di imbattibilità: roba che fa arrossire i «miseri» 973 di Gigi Buffon in A. Ma, portieri a parte, la cicatrice che più brucia sulla pelle della Curva Nord è quella del passaggio al Genoa del bomber Massimo Coda, uno che con i suoi gol a raffica (che numericamente ricordano le classifiche mostruose di indimenticabili ex come Chevantón, Vucinic e Pasculli) ha dato un contributo decisivo per passare dal purgatorio al paradiso. E qui torna l'incubo dell'ascensore: quell'alternarsi infernale tra piano A e piano B. Intanto ciaone al Lecce è venuto pure da altri pezzi pregiati come Hjulmand, Strefezza e Majer. Si attendono sostituti all'altezza.
Il 14 agosto si avvicina velocemente e i primi ospiti al Via del Mare sono da tsunami neroazzurro: arrivano le onde dell'Inter di Simone Inzaghi. Travolgenti. O quasi. Il Lecce continua a studiare il meteo. Ma muoversi in ritardo è pericoloso. Soprattutto in caso di maremoto. E, in Via del Mare, lo sanno bene.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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