È una vergogna senza fine Il caos scatenato a Marassi? È solo colpa di undici ultrà

Il questore: "Ivan era un caso diverso, qui vanno accertate le responsabilità". Niente arresti, stadio vietato per 5 anni. Petrucci: "Punto di non ritorno"

È una vergogna senza fine Il caos scatenato a Marassi?  È solo colpa di undici ultrà

Genova - Ivan Bogdanov, Ivan il Terribile, è stato inseguito, stanato e arrestato dopo qualche ora di guerriglia concentrata in una piccola porzione del piazzale dello stadio. Altri ultrà serbi che avevano impedito lo svolgimento della gara della loro nazionale a Genova contro l’Italia, sono finiti in cella, processati e condannati. Avevano fatto la stessa cosa, nello stesso stadio scelto domenica dai cento ultrà genoani per sentirsi padroni del calcio, dei giocatori, della loro stessa squadra. Eppure domenica la reazione delle forze dell’ordine è stata totalmente diversa. Ieri il questore di Genova Massimo Maria Mazza ha confermato che si procederà in ben altro modo: «Ci sono condotte diverse, dobbiamo ritornare alle responsabilità dei singoli. Al momento siamo a dieci identificazioni, ma stiamo procedendo. Sono sicuramente coloro che hanno assunto alcuni comportamenti, questi non sono tifosi, ma violenti ultras». Sulla stessa linea il procuratore capo Michele Di Lecce: «Quali reati possano essere contestati è ancora presto per dirlo, il superamento delle barriere è previsto dalla normativa attuale. Poi potrebbero esserci ipotesi di reato che vanno dalle minacce alle lesioni personali, alla violenza privata ma sono reati che vanno individuati in relazione ai singoli comportamenti». Addirittura il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri ha dato ragione alla polizia che ha lasciato fare: «Intervenire in certe circostanze può produrre danni di gran lunga superiori». Ieri sono stati firmati i primi 11 Daspo, il divieto di seguire manifestazioni sportive, a danno di altrettanti ultrà (i primi due destinati a Marco Cobretti detto «Cobra» e Fabrizio Fileni detto «Tombolone», capi storici del gruppo ultrà «Armenia 5 Rosso»). Ne seguiranno altri, ma per il momento ci si ferma qui. Le denunce alla procura prevedono un lavoro più lenti e complicato.
Le autorità, in concreto, hanno già detto che gli ultrà genoani non faranno la fine di Ivan e compagni. Persino il presidente rossoblù Enrico Preziosi, che domenica aveva tuonato con parole durissime contro i teppisti, è stato attaccato dai vertici dello sport italiano. Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha annunciato provvedimenti esemplari che nessuno aveva neppure mai invocato quando il derby Roma-Lazio era stato preso in ostaggio allo stesso modo dai tifosi. Allora non si fece nulla e l’Olimpico popolato da tutti i big dello sport neppure venne squalificato. Oggi Petrucci si chiede «come possano pensare certi presidenti che un’organizzazione che ha un’immagine straordinaria nel mondo possa essere rovinata da esaltati, da trattative in campo, da giocatori che si tolgono in campo la maglia. Ma come fanno certi presidenti, anche condannati, a parlare di etica? Siamo a un punto di non ritorno».
Giancarlo Abete, presidente della Figc, prova almeno a guardare avanti, a cercare il modo di evitare che fatti simili possano accadere. «Quello che è successo domenica - sottolinea - ci pone degli interrogativi a cui daremo risposte nel Consiglio Federale di venerdì prossimo, dove parleremo di tutela della salute e lotta alla violenza, a coloro che inquinano lo sport in maniera inaccettabile. Non si può accettare la resa. Ma la battaglia per la legalità che dobbiamo fare passa non solo alla lotta ai violenti ma attraverso una rottura della dimensione di omertà che è presente in tutto il mondo civile, non solo in quello del calcio».
Parole ancora diverse da quelle di molti che a caldo si sono divisi sulle responsabilità dell’accaduto. Anche ieri i protagonisti della minacciosa invasione del Ferraris hanno avuto modo di rilanciare e difendere sugli organi di informazione la correttezza della loro posizione. E lo stesso Abete, pur apprezzando Beppe Sculli che non si è voluto togliere la maglia cedendo al ricatto, ha comunque sottolineato che «con certe persone non deve esserci alcun dialogo». Insomma, a detta di chi non c’era, hanno sbagliato tutti.
Compreso quello Sculli che è andato a muso duro davanti ai violenti. E che ieri ha lasciato l’albergo del ritiro rossoblù tra due file di poliziotti neppure fosse un delinquente ricercato in mezzo mondo. Il pullman del Genoa è partito di buona mattina per Milano. Anzi, per Interello, perché la società di Massimo Moratti ha messo a disposizione dei rossoblù l’impianto sportivo che ospita il settore giovanile.

In casa dei «cugini», la squadra di Preziosi preparerà la sfida impossibile di domani al Milan. A guidare gli allenamenti non c’è più Alberto Malesani ma Gigi De Canio. Ma appunto, quella del calcio giocato, è tutta un’altra storia.

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