Stefanel: «Ci teniamo Nuance e diventiamo una vera griffe»

da Milano

«Nuance non si vende. Le voci che insistono su una cessione sono, appunto, voci. Tanto che stiamo lavorando a un accordo con Aéroports de Paris». Giuseppe Stefanel, presidente e ad, prima di parlare del gruppo di famiglia, si toglie un sassolino dalla scarpa. Anzi, un macigno, considerate le dimensioni della società, leader mondiale del retail aeroportuale, che Stefanel controlla alla pari con il gruppo Pam, attivo nella grande distribuzione.
Che cosa avete in mente per Nuance?
«L’idea è di operare nel settore moda e accessori, in uno spazio di cinquemila metri quadrati, nei due scali Charles de Gaulle e Orly, che nel 2007 hanno accolto 86,4 milioni di passeggeri. Se tutto va come previsto, partiremo nel 2009. Adesso la società ha raggiunto la solidità, bisogna solo mettere a punto alcuni mercati, come l’Australia: se le Borse non fossero in crisi, si potrebbe finalmente rispolverare la vecchia idea di quotarne una parte. Ma per il futuro non lo escludiamo».
È crisi anche per i consumi: che impatto ha su Stefanel?
«Vorrei anzitutto fare una distinzione, fra quelle che noi chiamiamo le “business unit” nel settore dell’abbigliamento - che fa 316 milioni di fatturato nel 2007, esclusa Nuance -, cioè Stefanel, Interfashion, che sta crescendo con i marchi High e I’M, firmato dallo stilista Antonio Marras, e Halluber, che opera sul mercato tedesco. A soffrire di più è Stefanel, cioè il cuore e l’anima del gruppo: e proprio per questo il piano strategico 2008-2010 prevede una vera e propria rivoluzione».
Di che cosa si tratta?
«Dobbiamo uscire dalla lotta, impossibile da vincere, con la grande distribuzione delle catene straniere, e spostarci a un altro livello, trasformando il nostro marchio in una vera e propria griffe, sia pure a prezzi accessibili. Paradossalmente, questo è più facile all’estero, dove il valore del made in Italy e la nuova immagine si affermano immediatamente, ma il cambiamento è partito anche in Italia».
Un’operazione rischiosa, considerato che la fascia media è quella più difficile nel mercato dell’abbigliamento.
«Abbiamo fatto studi e analisi, e siamo convinti che uno spazio per noi ci sia. Il Dna di Stefanel è la maglieria, e da lì siamo ripartiti: poi, conta molto il punto vendita. Abbiamo creato una scuola di formazione per chi vende, e gli effetti si vedono: per stare nel mio Veneto, il negozio di Verona oggi vende il 18% in più rispetto al 2007 contro il 15% in meno di quello di Vicenza, ancora vecchio stampo. Certo, tutti questi investimenti, comunicazione compresa, pesano poi sui risultati: ma io devo guardare la strategia, non gli alti e bassi di Borsa. Comunque, il mercato crede in noi: lo dimostra l’aumento di capitale appena concluso che, a parte l’impegno della famiglia, ha raccolto una buona adesione».


E come vede il futuro?
«I consumi vanno a rilento un po’ per tutti, e non sono ottimista sulla ripresa a breve. Però il sistema politico si sta muovendo con attenzione: la detassazione degli straordinari è un segnale».

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