Stesse sostanze nutritive, etichette poco chiare

Uno studio francese: gli alimenti privi di pesticidi non hanno più vitamine

Non è solo un’opinione del ministro inglese dell’Ambiente. Già nel 2004, l’Agenzia francese per la sicurezza sanitaria degli alimenti diffuse uno studio da cui non emersero ragioni forti per preferire i prodotti biologici ai tradizionali. Identici i livelli di minerali e oligoelementi, e il contenuto in vitamine dei vegetali biologici - a parte la vitamina C nelle patate - non risultò superiore a quello dei cibi consueti. Infine, nessuna prova certa che il biologico fosse meno a rischio di contaminazioni.
Ma di che cosa parliamo quando parliamo di biologico? La «voglia matta» di alimenti sani che ha pervaso i consumatori negli ultimi anni ha trovato presto il suo riflesso sugli scaffali dei supermercati. Prodotti biologici, «di montagna», «a lotta integrata», «naturali» si sono improvvisamente moltiplicati e sull’inevitabile successiva confusione di denominazioni ha pesato e pesa tuttora il sospetto di una speculazione delle industrie alimentari, ben consapevoli che il prodotto biologico, o quello che ammicca al biologico, non solo «tira» ma fa incassare di più con prezzi che possono essere anche il quadruplo del normale (In Italia, nella sola grande distribuzione, i prodotti bio generano un fatturato di 320 milioni di euro).
Cominciamo col fare un po’ di chiarezza. La dicitura esatta di quello che è comunemente chiamato «cibo biologico» è in realtà «prodotto da agricoltura biologica», che rimanda alla sua tecnica di coltivazione, stabilita dal Regolamento Cee 2092 del 1991, che esclude l’uso di antiparassitari o concimi chimici di sintesi. Secondo la direttiva europea, la fertilizzazione dei terreni deve essere compiuta con concimi organici come il letame e l’uso degli antiparassitari è limitato a quelli di origine naturale come rame e zolfo. Il risultato è un prodotto che dovrebbe essere meno inquinante e più sano per l’uomo.
«Il termine “naturale” non significa niente, così come “di montagna”, mentre la dicitura “bio” non può più essere impiegata su nessun prodotto che non sia biologico, secondo le norme della Comunità europea», spiega Franca Braga, supervisore alle indagini alimentari dell’associazione Altroconsumo. Discorso a parte va fatto per i prodotti «a lotta integrata» che sono realizzati secondo metodi a metà strada fra tecniche tradizionali e quelle biologiche, e in cui si ricorre, ma limitatamente, ad agenti chimici.

Occhio all’etichetta dunque, anche se distinguere questi prodotti fra loro non è sempre facile, soprattutto perché «alcune aziende che producono biologico - ricorda Braga - realizzano cibi anche tradizionali ma con la confezione identica, e il consumatore dovrebbe essere in grado di riconoscere i logo di tutti gli organismi certificanti, che sono quelli che fanno la differenza. È per questo che Altroconsumo ha proposto l’adozione per l’Italia di un logo unico, facilmente riconoscibile, sui prodotti da agricoltura biologica».

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