La storia di Milano scritta su tremila lapidi

Leopardi, Stendhal e Marinetti, ospiti celebri della città

Massimo Piccaluga

Nelle vie di Milano ci sono più di tremila lapidi. Un libro di storia che pesa all’incirca 100 tonnellate e che i milanesi, sempre così restii ad alzare lo sguardo, ignorano del tutto. Un vero peccato: negli Anni settanta il giornalista Alberto Delfini, che si prese la briga di censirle, scoprì che questo grande libro è in grado di descrivere i «punti d’azione reali» in cui si svolsero moltissime vicende storiche: un campionario tra i più ricchi e completi d’Italia. Non c’è caseggiato, rione o palazzo che non abbia dedicato almeno una targa commemorativa a personaggi celebri oppure legati al Risorgimento o alla Resistenza. Tra queste ci sono targhe più curiose di altre. La più elegante, ad esempio, si trova in via Monte di Pietà, 14 ed è dedicata al conte Federico Confalonieri: «Che con l’indomita fortezza dell’animo - vi si legge tra l’altro - e con il lungo martirio dello Spielberg insegnò con quali sacrifici e con quali virtù si preparano migliori destini alla Patria». Il patriota fu arrestato proprio in quella casa la notte del 13 dicembre 1821 dagli austriaci.
La targa che invece descrive uno degli episodi decisivi ma meno conosciuti delle Cinque giornate (18-22 marzo 1848) è in corso Venezia al civico 37: la casa che sorgeva sull’area dell’attuale palazzo fu «lunga dimora» del conte Luigi Torelli «che fremente d’audacia balzò per primo sul Duomo, dando impeto di vittoria alla rivoluzione». La lapide forse più «sbadata» del periodo antiaustriaco di Milano che si prolungò fino al 1859, si trova in via Cantù all’angolo con piazza Pio XI ed è dedicata al mazziniano Amatore Sciesa. Dopo aver pronunciato la famosa frase «Tiremm innanz», Sciesa andò a morire fucilato piuttosto che salvarsi diventando un delatore. Però nella lapide posta sulla casa «ch’egli abitò lungamente» il povero Amatore per una svista del Comune diventa un Antonio qualunque.
Tra i personaggi celebri la lapide di certo più poetica si trova invece in corso Venezia, 21/A ed è dedicata a un grande artista: «Questa è la casa dove nel 1905 Filippo Tommaso Marinetti fondò la rivista Poesia: da qui - prosegue la dedica - il movimento futurista lanciò la sua sfida al chiaro di luna specchiantesi nel Naviglio». C’è poi una lastra inaspettata, che fa sobbalzare più di un turista ignaro del lungo periodo trascorso a Milano dall’aretino Francesco Petrarca, autore del Canzoniere. La pietra che ne ricorda il soggiorno ospite dei Visconti è in via Lanzone, angolo S. Ambrogio: «Qui era la casa abitata da Petrarca dall’anno MCCCLIII al MCCCLVIII».
Nutrita presenza anche per le lapidi «turistiche» che testimoniano brevi soggiorni a Milano di personaggi illustri. Così è per l’iscrizione dedicata a Wolfango Amedeo Mozart ubicata in una palazzina di piazza San Marco, 2 un tempo sede dei Padri Agostiniani di cui il musicista fu ospite dal 23 gennaio al 15 marzo 1770. Un’altra lapide in corso Venezia 51 svela che quella stessa dimora ospitò dal giugno all’ottobre 1800 un tenentino dei Dragoni di nome Henri Beyle, in arte Stendhal; mentre quella posta al civico 2 di via Tommaso Grossi, rammenta il soggiorno di Giacomo Leopardi che abitò in quel palazzo dal 30 luglio al 26 settembre 1825, invitato a Milano dall’editore Stella per dirigere una ristampa delle opere di Cicerone. Recente e suggestiva è invece la targa dedicata al soggiorno milanese di Ernest Hemingway, ferito sul fronte del Piave e accolto e curato nell’estate del 1918 in una casa di via Armorari 4, allora adibita a ospedale della Croce rossa americana. «Qui inzia la favola vera - è scritto tra l’altro nella lapide - di Addio alle armi». Ma torniamo ai milanesi doc: il più rappresentato è senza dubbio Alessandro Manzoni: in quattro lapidi c’è tutta la sua vita. Il palazzo in via Visconti di Modrone, 16 ha una targa che ne ricorda la nascita il 7 marzo del 1785. Nella chiesa di San Babila, presso il fonte battesimale, una lapide commemora il giorno in cui Don Lisander venne battezzato: l’8 marzo. In via Fatebenefratelli 11, al secondo piano dell’allora Collegio Longone, una lastra piena di retorica attesta che il Manzoni «fanciullo meraviglioso» fu là convittore e alunno. Infine la lapide in via Morone 1 testimonia la presenza di un Manzoni ormai maturo che in quella casa visse e morì nel 1873. La targa più stringata in rapporto all’importanza del personaggio, è situata in via Montenapoleone 2: «In questa casa Carlo Porta poeta abitò e morì il V gennaio MDCCCXXI».
Quella più dannunziana invece è dedicata a Giuseppe Verdi: spicca su un muro dell’edificio di via Manzoni 29 dove, il 27 gennaio 1901, morì il grande musicista «che avvivò nei petti italici - dice tra l’altro la targa - con celestiali armonie il desiderio e la speranza di una patria».

Un grande contrasto con la letteratura semplice e noncurante che adorna una ampia lapide in via Solferino 11: «In questa casa Tranquillo Cremona pittore morì il X giugno MDCCCLXXVIII». Del resto l’artista scapigliato fece una morte altrettanto noncurante: lo stroncò ancora giovane un’infezione contratta stemperando i colori sulla mano nuda, senza usare l’apposito guanto.

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