Storia

La Bandiera sovietica sul Reichstag, storia di un "falso" d'autore

Come accaduto per la foto di Iwo Jima, anche l'immagine della "Bandiera della Vittoria" è un "falso" che non celebra la conquista del parlamento della Germania mentre avveniva in tempo reale, ma è stato costruito ex post. Ottenendo l'obiettivo di mostrare il trionfo di Mosca sul nazismo

La Bandiera sovietica sul Reichstag, storia di un "falso" d'autore
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L'immagine del soldato sovietico che issa una bandiera sovietica sul Reichstag, per la precisione la Bandiera della Vittoria che in tutta l'ex Unione Sovietica accompagna le celebrazioni per la fine della Seconda guerra mondiale, è passata alla storia come simbolo della sconfitta della Germania di Hitler e della liberazione dell'Europa del nazismo. L'immagine scattata il 2 maggio 1945 è però a tutti gli effetti una brillante opera di comunicazione politica, ma di fatto un "falso" d'autore.

La battaglia di Berlino e la marcia sul Reichstag

Intendiamoci: fu verissima, e brutale, la battaglia con cui l'Unione Sovietica espugnò la capitale del Terzo Reich. L'offensiva compiuta all'inizio del 1945 per accerchiare e assediare Berlino causò oltre 80mila morti tra i sovietici e più di 100mila tra i tedeschi. Fu parimenti comprensibile la volontà di Mosca e del governo di Iosif Stalin di celebrare enfaticamente la vittoria nella Grande Guerra Patriottica, dopo che la marcia per cacciare l'invasore tedesco che aveva attaccato l'Urss nel 1945 aveva portato in due anni dalle rive del Volga a quelle della Sprea, attraverso una serie di offensive travolgenti con cui l'Armata Rossa aveva liberato Polonia, Paesi baltici, Ungheria, Romania e Bulgaria. E il terribile tributo di sangue pagato dall'Urss - oltre 20 milioni di morti tra militari e civili - da un lato e gli odi accumulati per le repressioni, le stragi e le deportazioni di civili sul territorio sovietico avevano reso spietata la campagna di occupazione della Germania.

Ciononostante, la storia del "falso" del Reichstag è interessante e merita di essere raccontata. Perché mostra come realtà e propaganda in guerra spesso si sovrappongano. Nel pieno della battaglia per conquistare Berlino, mentre anche Adolf Hitler vedendo persa ogni speranza di riscossa meditava il suicidio che avrebbe compiuto il 30 aprile 1945, Stalin ordinò che, simbolicamente, il Reichstag dovesse essere occupato entro il primo maggio, Festa dei Lavoratori e giornata nazionale di celebrazione in tutta l'Urss. L'obiettivo simbolo era lo storico palazzo del parlamento tedesco identificato come un simbolo della Germania e del nazismo, nonostante Hitler ritenesse il Reichstag il tempio di una democrazia imperfetta che si riprometteva di superare col progetto del "Reich millenario". Ma il nome, la riconoscibilità e la solennità del Reichstag lo rendevano il luogo simbolo per un'offensiva. Stalin sognava di produrre, amplificandolo, lo stesso effetto emotivo che quattro anni prima aveva suscitato l'immagine della bandiera tedesca con la svastica innalzata sul Partenone.

L'obiettivo fu dunque politico nel pieno di una battaglia inclemente. Il maresciallo Georgij Zhukov, comandante del teatro di Berlino, decise di amplifiare la prospettiva di Stalin immaginando la scena della foto e annunciandola anzitempo. Mentre ancora il Reichstag non era stato bonificato dalle truppe tedesche al suo interno Zukhov annunciò il 30 aprile, giorno del suicidio di Hitler nel Bunker della Cancelleria, che il palazzo del Parlamento era stato occupato. La notte, mentre parte del Reichstag era già caduto nelle mani dei sovietici, il soldato kirghizo 23enne Rakhimzhan Qoshqarbaev del 674esimo Reggimento di Fanteria salì sull'edificio e inserì una bandiera nella corona della statua femminile rappresentante l'allegoria della Germania. Qoshqarbaev, "fegataccio" che poche settimane prima si era distinto guidando un assalto nell'attraversamento dell'Oder, compì un atto ad altissimo rischio in un edificio ancora teatro di guerra.

La foto definitiva

La giornata successiva, tuttavia, il vessillo fu tolto dai tedeschi che resistevano. Restava l'annuncio di Zhukov, che molti corrispondenti sovietici provarono ad andare a verificare ricevendo però, dall'interno del Reichstag, un nutrito fuoco di sbarramento tedesco in risposta. Fu solo il 2 maggio 1945, ultimo giorno della difesa di Berlino da parte della Wehrmacht, che il Reichstag cadde totalmente in mano alle armate sovietiche. Mentre il generale Helmuth Weilding, comandante della difesa della capitale, offriva la resa delle forze tedesche definendo "un abbandono" dei combattenti il suicidio del Fuhrer, la propaganda sovietica preparò l'agognata foto desiderata da Stalin. Che si classificò come "falso" perché immagine costrutita ad arte e non genuina conclusione della campagna di occupazione del Reichstag.

Un ufficiale ebreo ucraino di Donetsk, Yevgeny Ananyevich Khaldei, che aveva perso la madre e tre delle quattro sorelle durante la brutale occupazione tedesca, fu il fotografo incaricato di redigere la foto passata alla storia con il nome di "La Bandiera della Vittoria sul Reichstag" (in russo Znamya Pobedy nad Reykhstagom). L'immagine, potente nel messaggio evocativo, mostra il vessillo sventolare su una Berlino in macerie, sostenuta da due soldati. Il gruppo di soldati scelti per innalzare la bandiera sull'ex sede del Parlamento diventata ultima ridotta tedesca è rimasto a lungo oggetto di questione. Ed è un "falso nel falso". Inizialmente si pensò a dei soldati del 380esimo e del 756esimo reggimento di fantiera sovietica identificati nel russo Mikhail Yegorov e nel georgiano Meliton Kantaria. Il motivo di questo duo è comprensibile: la Grande Guerra Patriottica conclusa dall'unione tra un esponente del popolo sovietico che si era intestato la massima parte di sofferenze e lutti, il russo, e di quello del comandante Stalin, il georgiano.

Ma oltre la storia ufficiale sovietica la realtà è un'altra. A issare la bandiera furono tre soldati: Aleksei Kovalyev, un 20enne russo, è il militare che appare tenere la bandiera sul Reichstag, mentre il nativo del Daghestan Abdulchakim Ismailov appare nel principale degli scatti di Khaldei. In alcune sequenze appare anche il soldato bielorusso Aleksei Goryachev, nativo di Minsk, che ha coadiuvato l'operazione. Nella foto diffusa, poi, Ismailov appariva inizialmente con due orologi. Visto che si temeva potesse averne saccheggiato uno, compiendo un reato passibile di pena capitale, l'immagine modificata "ufficiale" mostrava il soldato daghestano, ultimo a morire nel 2010 tra i membri dell'impresa, solo con l'orologio sinistro. Evitando ogni ulteriore polemica.

Bandiera sovietica Reichstag
Nella foto originale non compaiono orologi sul polso del soldato sovietico.

Il simbolo dei sacrifici dell'Armata Rossa

La foto fu pubblicata il 13 maggio, pochi giorni dopo la capitolazione definitiva della Germania, sulla rivista Ogonëk, come risposta a un altro falso d'autore di altissimo valore simbolico, l'alzabandiera di Iwo Jima dei soldati Usa ritratto nel febbraio precedente dopo la già avvenuta conquista del Monte Suribachi, realizzata da Joe Rosenthal dell'Associated Press. A prescindere dalla storia "artefatta" dell'evento è indubbio che la vittoria di Berlino, cruenta fino all'ultimo istante e ultima fatica dell'Armata Rossa prima della vittoria finale, meritasse un simbolo di livello. La foto del Reichstag conquistato dai sovietici ottenne infatti l'effetto voluto, mostrando al mondo il tracollo militare del Reich hitleriano e spegnendo sul nascere qualsiasi mito simile a quello post-Grande Guerra, che parlava di una Germania tradita ma non sconfitta sul campo.

L'immagine del Reichstag riassunse per la propaganda comunista i sacrifici dell'Urss e della sua forza armata per liberare dal nazismo l'Europa orientale e riassunse in un'istantantea le vittorie di Stalingrado, di Kursk, dell'Operazione Bagration, della rottura dell'assedio di Leningrado, dell'offensiva sull'Oder. Vittorie pagate con un tributo di sangue immenso da parte sovietica, inferiore tuttavia alla conta dei morti caduti nelle camere a gas, nelle rappresaglie, nelle marce della morte o per le carestie causate dall'occupazione tedesca. Preludio alla vittoria finale e alla definitiva demolizione del progetto di Hitler e dei suoi intenti di destabilizzazione e dominio dell'Europa.

Conclusisi col "Crepuscolo degli Dei" di Berlino in cui solo il suicidio del Fuhrer evitò ulteriori, inutili morti da parte tedesca in una difesa ormai vana.

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