La vicenda è di quelle destinate a non chiudersi mai davvero. Forse per lenorme peso morale di quei 335 uccisi a sangue freddo. Forse per leterno palleggio di responsabilità, le lentezze della giustizia, i furori ideologici. Stiamo parlando delleccidio nazista delle Fosse Ardeatine, il 24 marzo 1944. Trecentotrentacinque civili e militari italiani fucilati e buttati nelle cave di pozzolana. Il tutto come atto di rappresaglia (compiuto violando ogni convenzione umanitaria e diritto militare) per lattacco partigiano contro la Wehrmacht avvenuto in via Rasella a Roma.
E ora Der Spiegel riapre la questione. Non tanto per quanto riguarda leccidio, ma per la gestione della vicenda processuale e diplomatica. Il settimanale tedesco ha pubblicato ieri un articolo, a partire da uno studio dello storico Felix Bohr che da anni si occupa di investigare nei fondi del ministero degli Esteri della Germania Ovest. Secondo Bohr, alla fine degli anni 50 le diplomazie di Italia e Germania collaborarono per evitare che alcuni dei responsabili delleccidio delle Ardeatine fossero estradati in Italia. Alla sbarra infatti finirono solo Herbert Kappler e, molto tardivamente, Erich Priebke e Karl Hass. Esisterebbe una fitta corrispondenza, datata 1959, tra lambasciata tedesca a Roma e il ministero, da cui emergerebbe la volontà di dare allinchiesta un basso profilo. In particolare, lallora consigliere dambasciata a Roma, Kurt von Tannstein, un nazista della prima ora, scriveva che il risultato «auspicato da parte tedesca e italiana» era quello di «addormentare» le indagini. Sarebbe stato il governo democristiano ad avere, per motivi politici, poca voglia di indagini approfondite.
Sempre secondo le fonti tedesche fu il capo della procura militare di Roma, il colonnello Massimo Tringali, a precisare allambasciatore tedesco che «da parte italiana non cè alcun interesse a portare di nuovo allattenzione dellopinione pubblica lintero problema...». E ancora si sarebbe fatto latore dellauspicio che «le autorità tedesche fossero in grado di confermare alla Procura militare che nessuno degli accusati era più in vita o che non era possibile rintracciarle...». Cosa che la controparte germanica si affrettò a fare anche se, secondo Bohr, rintracciare i colpevoli era tuttaltro che difficile.
Responsabilità italiana quindi? Forse, ma tutte le fonti citate sono tedesche. E i funzionari, come lex nazista von Tannstein, potevano essere più che interessati a fornire a Bonn versioni rassicuranti. E Bonn ad accettarle. Anche perché alcuni dei personaggi compromettenti del caso avevano ruoli delicati. Carl-Theodor Schuetz, che comandò il plotone di esecuzione, lavorava presso i servizi segreti tedeschi.
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