Francesca Amé
Dal chiuso dello studio ai liberi spazi della strada. Fuori e dentro, dentro e fuori. La vita artistica di Marco Grassi, 30 anni, milanese con alle spalle un diploma all'Accademia di Brera, somiglia per certi versi a quella di Mr. Hyde. Di giorno, Grassi ha imparato a seguire le orme del padre, che all'attività di corniciaio ha affiancato quella di pittore. Di notte, le «vittime» dei suoi pennelli non sono più le tele ma la città stessa. Chi ha familiarità con i graffiti e con i quartieri meridionali di Milano ha certamente negli occhi una sigla, Pho, che è diventata la firma ufficiale delle opere di Marco Grassi. Pho 16k, questo lo pseudonimo per intero, è l'abbreviazione di phobia, paura, ed è con questa sigla che Grassi fin dall'adolescenza segnala la paternità delle sue opere. Per questo non stupisce il titolo scelto dal critico Elisabetta Longari per la prima personale dell'artista nella sua città: «La strada come laboratorio e come modello espressivo» è ospitata negli spazi ariosi della Provincia di Milano in via Guicciardini 6, adatti ad accogliere una trentina delle tele di grandi dimensioni che Grassi ha realizzato con i materiali più disparati (sino al 5 gennaio). Vi si trovano vernici spray in perfetta tradizione «graffitara», ma anche pitture su carta e su legno, che testimoniano quanto la ricerca artistica di Pho si muova in diverse dimensioni, in strada e nello studio. Convivono entrambe le anime di Marco Grassi in questa esposizione che piacerà molto ai giovani: la serie dei «Bancali» è stata realizzata nell'ultimo anno grazie al recupero di materiali di scarto destinati all'imballaggio e al trasporto delle merci.
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