Stefano Filippi
Si potrebbe cominciare buttandosi sulla politica: dal dopoguerra nelle regioni rosse governa sempre lo stesso partito. O sulleconomia: se lantitrust fosse regionale per i supermercati coop sarebbero guai. O sulla concorrenza: Unipol ha quasi il monopolio nellassicurare auto blu, mezzi pubblici, immobili delle amministrazioni di sinistra. O sugli organigrammi: il travaso tra Ds e vertici delle coop rosse è fitto e spesso ai limiti della legalità. Oppure si potrebbero rispolverare atti giudiziari e sentenze definitive, intercettazioni in slang piemontese e finanziamenti occulti, arrampicate in Borsa e tavolate di cucina francese: magari c'è poco di «penalmente rilevante», ma non è questo il punto. Chiamiamolo collateralismo, gioco di sponda, cinghia di trasmissione: non è ancora tutta roba vecchia.
Larticolo 45 della Costituzione dice: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata». Parole sante che resistono negli statuti delle coop, ma bastano i 50 milioni di euro che Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti hanno preso e portato a Montecarlo per far capire dovè finito lo spirito del 1946. Nelle consulenze intascate dagli ex numeri uno e due di Unipol non cè traccia di mutualità ma dosi industriali di lucro personale. E dov'era la Costituzione quando i capi del Pci prima - e del Pds poi - si facevano assumere dalle coop per poter essere eletti sindaci raddoppiando le indennità e caricando i contributi sull'Inps anziché sul partito? E dovè oggi, quando le coop finanziano i candidati dei Ds alle regionali e poi vengono sovvenzionate dalle stesse regioni?
I legami tra coop e Quercia non sono stretti come un tempo. Dal Botteghino non comandano più a imprenditori come Giovanni Donigaglia di rilevare imprese in dissesto per non perdere voti o di finanziare l'Unità e relative feste. Ma la struttura delle coop è rimasta la stessa. Le imprese sono formalmente autonome ma organizzate a sistema. Le associazioni che le raggruppano fanno lobby e conquistano spazi. La coesione interna tra attività produttive, finanziarie, assicurative, distributive, rende indispensabile l'appoggio della politica e delle amministrazioni.
Inevitabile che i gruppi dirigenti delle coop siano intercambiabili con i quadri delle federazioni diessine: stessa formazione, stessa lealtà alla causa. Le amministrazioni locali di sinistra, dove siedono iscritti al partito che sono transitati dalle coop o si preparano ad approdarvi, ammorbidiscono i piani regolatori, distribuiscono appalti, assegnano lavori e firmano contratti a trattativa privata, stringono convenzioni, dispensano consulenze e incarichi.
Il risultato è una società bloccata e uneconomia monopolista. In Emilia Romagna le coop controllano il 67 per cento della grande distribuzione alimentare, con un fatturato che nel 2004 ha sfiorato i cinque miliardi di euro. In Lombardia, per esempio, non cè una catena che raggiunga il 10 per cento del mercato. Nella provincia di Modena, invece, la percentuale balza al 74 per cento: 66 supermercati su 90 sono Coop o Conad. Risultati che hanno consentito alle due società Coop Estense e Nordiconad di inserirsi al secondo e al quarto posto nella classifica delle maggiori aziende della provincia di Modena per fatturato annuo, dietro rispettivamente alla Ferrari e allInalca ma davanti a realtà come Tetrapak e Cmb.
Questo predominio assoluto è stato raggiunto attraverso lappoggio incondizionato delle amministrazioni di centrosinistra, visto che tutto il sistema di rilascio delle autorizzazioni commerciali passa attraverso Comuni, Province e Regione. Porte aperte quando è una coop a chiedere una concessione; difficoltà insormontabili quando si fa avanti unaltra insegna.
Gli esempi non mancano, e sono recenti, benché Quercia e coop sostengano che il collateralismo è finito. Primavera 2005, due comuni modenesi a pochi chilometri di distanza, Spilamberto e Vignola. Nella prima località, la Coop Estense chiede allamministrazione comunale di destinare a uso commerciale un terreno periferico su cui vuole trasferire (e ingrandire) il supermercato situato nel centro del paese. Nessun problema. Caso identico a Vignola, ma il consiglio comunale boccia la richiesta: la domanda era stata presentata da un marchio estraneo alle coop.
Altro episodio, eclatante. Nel 1999 il ministero dei Beni culturali vincola un terreno in pieno centro di Bologna, in via Andrea Costa 160 dove sorgeva la fabbrica di preservativi Hatu, perché erano affiorati resti di mura etrusche, un ritrovamento rarissimo. Il proprietario dellarea, la società «Andrea Costa 2000» dellindustriale Goldoni, aveva avviato gli scavi per costruire un supermercato Esselunga. La sovrintendenza di Bologna invita a rivedere il progetto del parcheggio sotterraneo per garantire lintegrità delle strutture antiche, ma i costi vengono giudicati eccessivi e il numero di posti auto troppo esiguo. LEsselunga rinuncia, i lavori si fermano.
Il progetto riprende quota quando la «Andrea Costa 2000» si accorda con la Coop Adriatica (presieduta da Pierluigi Stefanini, ora numero uno anche di Unipol). Questa volta la sovrintendenza di Bologna, con una decisione clamorosa, concede il nulla osta per «il recupero, il restauro, il trasferimento e la valorizzazione dei resti antichi in unaltra area». Mentre nel resto dItalia i ritrovamenti archeologici bloccano per anni i cantieri, in Emilia si decide addirittura di togliere di mezzo le mura etrusche e spostarle altrove, senza peraltro che il ministero abbia eliminato il vincolo.
(1. Continua)
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