La strategia del «mascariare»

«Mascariare» in siciliano significa tingere con il carbone. Basta un tocco e resta un segno. Quello del sospetto, ovviamente. Quando si parla di mafia vengono in mente sempre scenari e complotti. Non amiamo le dietrologie né le teorie della cospirazione, ma certo è alquanto sospetto che quelle intercettazioni che sono inutilizzabili e non rilevanti ai fini delle indagini sulle talpe nella Dda di Palermo, diventano invece materia preziosa per il «mascariaramento» a mezzo stampa. Rendere pubbliche quelle intercettazioni dove il Presidente della Regione Sicilia parla - come consuetudine istituzionale - con il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, ministri e segretari di partito, il Presidente dell'Antimafia e altri, è una violazione dei normali principi di civiltà giuridica. Quelle intercettazioni inserite nel contesto di un processo di mafia, nello stesso istante in cui emergono, danneggiano l'immagine di chiunque ne venga sfiorato, «mascariato».
È una barbara pratica di gogna mediatica al quale le procure da un decennio almeno ci hanno abituato. Non ci sarebbe niente di nuovo, se non che stavolta si è usato (e si è osato) mettere nel calderone tutto e tutti.

Fin nei minimi particolari: il numero di telefonate, i nomi, le circostanze, persino l'interrogatorio del ministro dell'Interno, Beppe Pisanu.
Non un’operazione di verità, ma un mascheramento dei fatti in un gioco di fumo e specchi che ha un solo fine: «mascariare».

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