STUPEFACENTE RELATIVISMO

Nella cultura della sinistra si è perso il senso del limite. La proposta dell'on. Livia Turco - persona solitamente misurata e cauta, per di più reduce da una sensata quanto contestata (dai suoi) idea contro l'interruzione della gravidanza - è solo l'ennesimo episodio di un'incontenibile fuga in avanti su tutto, con cadenza quotidiana. Non bastava confondere il diritto di avere un'opinione contraria alla Tav con l'azione volta a bloccare l'apertura dei cantieri, che va appunto oltre il limite della legalità. Non bastava l'agitazione contro la commissione parlamentare sulla 194, che ha superato un altro limite, con la pretesa di negare a priori la necessità della verifica del funzionamento complessivo della legge sull'aborto. Ora è prospettata anche l'eventualità di un intervento sulla tossicodipendenza, difficilmente comprensibile se non nel contesto di una corsa a concedere tutto ed a cedere su tutto.
Naturalmente ci si trincera dietro la parola-chiave della sperimentazione, si invocano le nuove frontiere della ricerca, si esibiscono esperienze di questo o quel Paese straniero, si chiamano le testimonianze di questo o quell'esperto. Ma la sostanza non cambia. Anche in questo caso c'è un cedimento relativista, tanto più netto e visibile se confrontato con il grido d'allarme, lanciato da Fini, sugli effetti negativi della ex-Cirielli, se non venisse corretta proprio per quello che riguarda i reati commessi dai tossicodipendenti. Confrontato cioè con un gesto di responsabilità e di preoccupazione per gli ostacoli che si porrebbero all'azione per affrontare una piaga sociale di dimensione tanto vasta.
Ma nella cultura che impregna la sinistra si è ormai smarrita questa sensibilità. Si tratta della sensibilità di vedere, in un modo unitario e all'interno di un quadro di valori, il governo di una società complessa e frammentata. Al contrario, assistiamo sempre più all'inseguimento di interessi settoriali e di spinte estreme, c'è l'appiattimento di tutto, c'è il taglio delle radici che tengono insieme un Paese, c'è una crescente idolatria di quel che promette la scienza a scapito di tutto il resto.
È una deriva che si può solo definire populista. La critica, la contestazione, l'opposizione riguardano infatti sempre e soltanto i limiti che vengono posti, in una società che al contrario deve saper vivere insieme, combinando i tanti e differenziati interessi. E per limiti non intendo ovviamente una cultura del proibizionismo, che a sua volta ha quasi sempre il torto di non saper indicare ricette e soluzioni. Intendo invece il rispetto di norme, di doveri e di diritti, che si tratti della Tav, della 194 o delle tossicodipendenze, e soprattutto dei limiti.
La lotta alla droga è, come sappiamo, un'impresa difficile, complicata, piena di variabili che spesso sfuggono anche a coloro che maggiormente vi sono impegnati. Ma non può essere una «terra di nessuno», cioè una zona extraterritoriale, dove tutto è consentito fino ad un investimento pubblico in eroina. Alla politica, a chi rivendica una responsabilità di governo, spetta il compito di non smarrire il senso della realtà e di porre l'opinione pubblica di fronte all'asprezza dei problemi. Quando non lo si fa, quando si inseguono egoismi, localismi o anche paure, si fa un cattivo servizio all'intera collettività.

La cultura della sinistra ha ormai da anni questi difetto. Sfugge ai problemi, li scarica sui suoi avversari, semina illusioni. Ma in questo modo predica solo il superamento di quei limiti la cui coscienza, come tutti sappiamo, è uno dei requisiti della democrazia.

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