Uno stupro alla cinese: dopo la violenza lo shopping

Violenza alla cinese: nel segno della omertà e della sudditanza tra sessi che regnano nella più «chiusa» tra le comuità straniere di Milano. Per ore, dopo essere stata stuprata, una donna è rimasta sotto il controllo del suo aggressore, che - evidentemente convinto di poterne dominare i comportamenti - l’ha persino portata con sè alla Rinascente, per farle dei regalini, convinto che bastasse questo a comprare il suo silenzio. Ma non è bastato per impedire che la vittima si ribellasse, e sfidando le regole non scritte della comunità, denunciasse il violentatore.
Inevitabilmente, la dinamica della denuncia - con la vittima che non si rivolge immediatamente alle forze di polizia, ma anzi accompagna lo stupratore in un giro apparentemente innocuo per le vie dello shopping - prestava il fianco a qualche incertezza sulla attendibilità del racconto. E se già abitualmente Procura e investigatori si muovono con circospezione sul terreno minato degli stupri veri o presunti, la cautela si è fatta ancora più marcata dopo i recenti fatti di Torino, dove una falsa denuncia per violenza carnale ha suscitato una violenta ondata di intolleranza razziale. Ma nel caso della giovane cinese il pubblico ministero di turno, Antonio Sangermano, ha ritenuto che le indagini della polizia confermassero in pieno il racconto della vittima. Così per il cinese sono scattate le manette.
Il racconto della vittima conteneva dettagli particolarmente impressionanti. La donna raccontava di essere stata avvicinata dal connazionale, di una diecina di anni maggiore di lei, e di essere stata invitata nella casa che l’uomo condivideva con un altro cinese e la famiglia di quest’ultimo. Lo aveva seguito, convinta che la presenza di altri inquilini nell’appartamento la mettesse al riparo da qualunque rischio. Ed effettivamente nell'abitazione c’erano i due figli adolescenti del padrone di casa: ma questo non ha impedito che, dopo avere chiuso la giovane in una delle stanze, il cinese le saltasse addosso. Prima le botte, tante botte. Poi, nonostante la resistenza disperata della ragazza, lo stupro.
Alla fine, come se niente fosse, l’uomo porta con sè la vittima per negozi. Lei lo segue, ancora rintronata e terrorizzata. Ma un po’ per volta recupera forza e lucidità. Si allontana, e lo va a denunciare. La polizia si trova a dover valutare il racconto. Le prime verifiche mediche confermano: la ragazza ha subìto un rapporto sessuale e le lesioni che ha in tutto il corpo - zone intime comprese - dicono che è stato imposto con la forza. A quel punto l’uomo viene identificato, raggiunto e fermato. Ammette di avere avuto un rapporto sessuale con la connazionale ma - come spesso accade in questi casi - giura che non c’è stata nessuna violenza: «Lei era d’accordo».
Ma già da un sommario controllo è emerso il primo elemento che smentiva questa versione edulcorata: sul braccio c’erano le evidenti tracce di un morso che la ragazza aveva rifilato all’aggressore per cercare di respingere i suoi assalti.

E ulteriore sostegno alla tesi dello stupro è venuta dai due ragazzini che si trovavano in casa al momento dell’incontro, e che hanno raccontato di avere sentito distintamente rumori di colluttazione e urla di dolore provenire dal locale adiacente.

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