Il sit-in dei cinesi in piazza Duomo passa in archivio, ma è evidente che il caso Chinatown non è chiuso. Una certa tensione resta, anche se le premesse del dialogo ci sono. Palazzo Marino ha sufficienti doti di civiltà e di coerenza per trovare unintesa che salvaguardi lessenza delle regole, la tranquillità degli abitanti del quartiere e le esigenze degli imprenditori cinesi. Sempre che gli immigrati di Chinatown rinuncino alla pretesa di costituire unenclave, una zona franca. Il dialogo fra Comune e cinesi potrà risolvere la questione del carico-scarico e dei depositi allingrosso, ma ci sono altri problemi che non possono essere affrontati dal municipio e dai vigili urbani. Cè la volontà di tanti immigrati, rafforzata dal sensibile aumento di nuovi arrivi dalla Cina, di non integrarsi, di conquistare spazio e di tenerlo, quasi un quartiere potesse diventare una fortezza sottratta allo Stato italiano in cui tutto si consuma sotto il segno del dragone, dai pasti al ristorante agli svaghi nel bordello, dal lavoro nei laboratori, alle visite mediche in cui si prescrive balsamo di tigre. Ci sono problemi fiscali, di rispetto delle norme sulla contraffazione di marchi e prodotti, ci sono più preoccupanti - fondati sospetti che, insieme a tanti imprenditori di talento, siano arrivati uomini di mafie antiche e potenti, protette da unomertà che la specificità etnica rafforza. Speriamo nel dialogo, ma il richiamo al rispetto della legalità, di tutte le leggi, non può venire solo da Palazzo Marino. Pertanto stupisce che un rappresentante del governo, Enrico Letta, abbia dichiarato che la questione Chinatown non riguarda il potere centrale. Invece, un po dattenzione in più su certe realtà dellimmigrazione da parte di Roma ci vorrebbe. Milano è una città laboratorio: rivela tensioni e problemi che puntualmente si presenteranno anche in altre aree del Paese.
E che i ghisa da soli non possono affrontare.
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