Al Sud che vuole la sua Lega servirebbe uno come Umberto

L'incapacità delle amministrazioni regionali nel meridione ha fatto rinascere sentimenti borbonici e anti-italiani. Ma un partito localista è inutile. Quello che manca è un leader vero, che governi con concretezza e parli ai giovani

Vulimm ’a Lega. Dalla Puglia alla Campania, fino alla Sardegna, sale il grido di dolore del Sud, un desiderio ardente di leghismo analogo e capovolto, il meridional-leghismo. Girando per il Sud, sento propositi bellicosi di gente che invoca l’arrivo della Lega dalle proprie parti, o annuncia clamorosi inviti al Carroccio di aprire succursali e sportelli anche in Terronia. Me lo diceva a Bari un imprenditore sveglio e anticonformista, Vito Vasile, scottato dall’assenza di una vincente leadership politica del centro-destra in Puglia, donata a Vendola; me lo ripetono in Sicilia, in tutto il Sud e a Napoli poi non vi dico.

Giusta la domanda, a mio parere, sbagliata la risposta. Giusta la domanda perché il Sud ha bisogno di una classe dirigente che si prenda cura del meridione. Il Sud proviene dal fallimento globale delle giunte regionali e locali di sinistra che lo hanno governato in questi ultimi anni; ma in alcune zone del Sud, come la Puglia, la Basilicata e la Sicilia, per ragioni diverse, anche il centro-destra non ha saputo ribaltare le amministrazioni inquisite del centro-sinistra o governare, nel caso della Sicilia. Da qui la scorciatoia mitica del Partito del Sud che è il nome indigeno di una simil Lega. Capisco l’esigenza che porta a quella scelta, ma mi pare inadeguata quella risposta. Un partito del Sud che nasca da una costola malriuscita del centro-destra partirebbe male; se poi nasce in Sicilia dove il tema Sud è remoto rispetto al tema isolano dell’autonomia, ancora di più. Ma poi non è di un duplicato della Lega che ha bisogno il Sud, che peraltro non ha un suo Bossi di riferimento. Ma di un rilancio del Sud come corpo organico dell’Italia e dell’Europa, come braccio mediterraneo di ambedue.

Non credo che il federalismo sia una sciagura per il Sud, può essere anche una strigliata e una chiamata alle proprie responsabilità; ma non mi pare che il federalismo possa essere la risposta meridionale alla sua sottorappresentazione e al suo divario. L’autonomia in Sicilia è stata un guaio, ha peggiorato i vizi e malgovernato la Regione, in tutte le versioni: sinistre, centriste e autonomiste. Al federalismo ci vuole, perlomeno, qualche contrappeso forte. Un progetto Sud dentro un progetto italiano, a sua volta compreso nel progetto euromediterraneo: la matrioska del meridione non può chiamarsi fuori. Vedo crescere a Sud con l’avvicinarsi del compleanno d’Italia una forte passione borbonica, brigantesca, antiunitaria.

Comprensibile, a tratti sacrosanta, ma rovinosa se pretende di farsi proposta politica secessionista o autonomista, o processo all’unità d’Italia e denigrazione del Risorgimento. Non condivido nemmeno chi come Galli della Loggia, nel nome giusto dell’Unità d’Italia, taccia di ignoranza chi, come Edoardo Bennato, dedica le sue ultime canzoni ai briganti e al re borbonico. Lo vede come un fallimento rispetto alle sue canzoni iconoclaste e radical degli anni Settanta; io la vedo, invece, come un mezzo rinsavimento dal cliché sessantottino e un ritorno in famiglia, dove suo fratello Eugenio già cantava il Sud dei vinti. Non è ignoranza ripensare a quella pagina di storia; è esagerato idealizzare quella monarchia in declino nell’Ottocento e il brigantaggio, che non fu solo un fenomeno criminale ma non fu nemmeno solo un fenomeno di resistenza partigiana; fu l’uno e l’altro, in una mescolanza inscindibile.

È giusto riammettere quelle memorie nel tessuto storico e civile del Sud e dell’Italia, per rimarginare le ferite e riannodare le memorie; è giusto ripensare a quella storia rimossa, capire le ragioni, le passioni, le nostalgie del Sud. Ma non è giusto farne una proposta politica, tradurle nel presente in partito del Sud o in lotta antiunitaria: non si accorgono che nel tentativo illusorio di tornare alle radici, imitano a rovescio il leghismo del Nord e si lasciano colonizzare in altro modo. No, il Sud deve riportare la sua storia nella storia d’Italia e d’Europa; e la politica del Sud deve fare la stessa cosa. Ma deve farlo da meridionale. Deve rendersi conto che il suo avversario non è il Nord, non è Roma, ma è la globalizzazione come perdita del territorio o come demente razzismo di ritorno di chi, sull’onda di libri come quello dello psicologo Richard Lynn, sostiene l’inferiorità intellettuale del Sud. Tesi imbecille, perché tutto si può dire ai meridionali meno che siano i più cretini d’Italia. Hanno meno razionalità organizzativa, meno senso civico, meno partite Iva e meno Pil, non sanno fare cittadinanza, rete, cooperativa. Fanno clan, ma questo non è solo frutto di indole mafiosa, accade anche nei Paesi anglosassoni (non a caso, la parola clan è di derivazione scozzese e non mafiosa).

Ma individualmente sono intelligenti sopra la media europea. Non si può ricavare il tasso d’intelligenza dall’organizzazione; mica siamo formiche o api operaie, siamo uomini. Dire per esempio che i siciliani sono i più stupidi d’Italia significa essere stupidi: l’intelligenza siciliana, anche nei suoi tratti eversivi, contorti e sadomasochisti, erutta come l’Etna e svetta come Punta Raisi. Altro che stupidi. Insomma, il Sud deve pensarsi non solo dentro il nostro tempo ma anche dentro l’Italia, dentro l’Europa, dentro il Mediterraneo. Deve far crescere i suoi leader, le sue classi dirigenti, i suoi progetti, ma dentro questa realtà, questo quadro politico. Non fuori o addirittura contro. Altrimenti si disperde, cade nel piccolo ribellismo che non ha mai prodotto niente di buono a Sud, solo rivolte e masanielli. Certo, ci vorrebbe un movimento popolare nel Sud, una sensibilità trasversale, un nuovo mito politico. Forse ci vorrebbe un Vendola anche alla destra, senza orecchino e senza l’anello al naso, che sniffi solo diavolicchio; un cantore politico, capace di toccare le corde antiche e profonde della passione civile, magari un po’ meno poeta e più amministratore, ma in grado di suscitare miti politici.

Un leader un po’ Vendola e un po’ Saviano, lasciatemelo dire. Una versione colta e populista che abbia però lo stesso piglio fattivo e la stessa anagrafe degli Scopelliti e dei Caldoro, vincenti in Calabria e Campania.

Uno scazzamuriello magari siculo o pugliese, per compensare il gap, che sappia parlare ai ragazzi. Insomma non c’è bisogno di un nuovo partito, o di una nuova Lega; più semplicemente, o più difficilmente, c’è bisogno di leader veraci.

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