Guido Mattioni
nostro inviato a Varese
Il vecchio leone non si è addormentato. Certo, appare stanco e provato, ma ruggisce ancora. Sottovoce, ma lo fa. «Queste elezioni sono una partita difficile, il cui risultato condizionerà la società prima ancora che il mondo politico - dice Umberto Bossi ai Giovani padani, riuniti a Varese per il loro quinto congresso nazionale -. Per questo non si può perdere, perché a questa sinistra gli ha dato di volta il cervello quando propone la famiglia omosessuale, facendo perdere ai giovani ogni punto di riferimento; o il voto agli immigrati, che non sanno ancora neppure se restano in Italia».
Si rivolge ai giovani «dal cuore verde» (così si definiscono), il Senatùr, ma perché lamico e alleato Silvio intenda. «Berlusconi dovrebbe dire in televisione più cose sulla famiglia e sullimmigrazione, dovrebbe ricordare prima di tutto quali sono i programmi degli altri, quelli della sinistra», ricorda con tono quasi accorato, pur dimostrando di non nutrire timori in tal senso, definendo pubblicamente il premier «uno che mantiene la parola data e che non si piegherebbe mai alla politica della sinistra».
Ma a quella flebile e al tempo stesso tonante raccomandazione il teatro, stracolmo di padani under trenta, già caricati a molla dai coordinatori locali e da un ex di loro, leuroparlamentare Matteo Salvini, esplode letteralmente. «Né neri né rossi, ma liberi con Bossi», gli gridano in coro implorandolo di «non mollare mai». Invito a a cui lui risponde da Bossi, alzando il pugno e ripetendo fino a stancarsi: «Mai, mai, mai... ».
Il terreno per lapoteosi del Capo indiscusso, come già ricordato, lavevano del resto preparata altri. «Se in mille lhanno fatta questa Italia - si era chiesto retoricamente un attimo prima il 32enne Salvini -, volete che in mille non siamo in grado di disfarla?». Riferendosi, con quel numero tondo, alle truppe padane arrivate ieri a Varese con ogni mezzo (compresi 21 pullman) nonostante una domenica penalizzata dai divieti di circolazione.
Certo, ieri le gradinate del teatro varesino ricordavano più che altro quelle di uno stadio. Era tifo puro, fatto di striscioni sventolati, ole ondeggianti, cori spaccatimpani e slogan spesso irripetibili, come quelli che attribuiscono essenza e consistenza di deiezione maleodorante a romani e musulmani. Accomunati così nel dileggio. E se qualcuno si limita a un più innocente coro, «torna alla tua tera terùn», intonato sulle note del Poromompero, non è tuttavia un bel sentire. Qualcosa che comunque stride con la bellissima e ben più nobile frase scelta dagli organizzatori per invitare i giovani a un maggiore impegno: «Puoi anche non occuparti di politica, ma la politica si occuperà comunque di te», si legge sui manifesti. Firmato John Fitzgerald Kennedy, proprio un simbolo di quellAmerica multietnica che pochi amano nel movimento verde.
Tantè, questa è la politica, bellezza! Che come il tifo calcistico si nutre di simboli (Bossi, appunto), di immenso amore (per la terra padana) e perfino, in certi casi, come ha ricordato Salvini, di odio, «che in fondo è laltra faccia dellamore». Lo sa bene Roberto Maroni (del resto qui è di casa) che parte in sordina ricordando gli inizi della Lega, «quando nessuno ci conosceva»; che poi prende quota rievocando la stagione dellingresso del movimento nelle istituzioni e quella «esaltante dellindipendentismo». E che infine esplode parlando del domani. «Non confondiamo il progetto strategico con la tattica per raggiungere lobiettivo: il nostro progetto strategico è e rimarrà la Padania indipendente e sovrana», ammonisce il ministro del Welfare.
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